venerdì 26 novembre 2010

Fenomeno italiano triste

Botta (datata 1994):

Discesa in campo del piduista nano plasticato



e risposta (15anni dopo, riassunto di quello fatto[pochissimo] e non fatto[tutto]):

Riassunto di 15anni di lavoro e della situazione politica italiana

Intanto segnalo che abbiamo il presidente del consiglio più vecchio della storia della Repubblica. :-(

domenica 21 novembre 2010

Maroni e Alfano: appropriazione indebita

Il ministro Alfano rivendica la cattura del capo malavitoso di Casale di Principe ed avverte che la caduta del Governo metterebbe a rischio la lotta alla mafia. Vergogna! Il Casalese è stato individuato ed arrestato permezzo delle intercettazioni telefoniche: quelle intercettazioni che il Governo voleva impedire.



Maroni a Matrix si gloria dell'arresto di Iovine. Questo governo, dice, è il governo che davvero, nei fatti, è contro la mafia. Gli arresti, tuttavia, sono resi possibili dal coraggio dei magistrati con cui il governo è in polemica durissima da quando si è insediato e dei poliziotti, che duramente hanno protestato in questi due anni per i tagli con cui le finanziarie hanno reso difficile il loro lavoro. C'è qualcosa di ridicolo e di penoso nel modo in cui Alfano e Maroni si riuniscono davanti alle telecamere per dire “sì al 41 bis per Iovine” come se a decidere una cosa del genere fossero loro e non una legge applicata da un magistrato. Ma c'è qualcosa di davvero sinistro nel modo in cui un giornale (Il Giornale) arriva a raccogliere in prima pagina firme contro l'uomo che con le sue indagini giornalistiche e con i suoi libri, rischiando personalmente, ha dato un aiuto fondamentale a chi, magistrati e poliziotti, ha catturato Iovine: facendo finta di credere (nella pagina successiva) che Iovine sia stato davvero catturato dai ministri che oggi, senza vergogna, tentano di farsi "belli" con il lavoro e il sacrificio degli altri.

mercoledì 17 novembre 2010

L'allarme infondato sugli sbarchi

Secondo un antico detto, la madre delle bugie è sempre incinta. E le bugie, con l’amplificazione dei media hanno effetti anche dopole smentite. pochi giorni fa alcuni giornali (della destra) commentavano il triplice scacco del governo alla Camera sulla esigenza di «impegnare la Libia al rispetto dei diritti umani dei migranti respinti sulle loro coste» rispolverando una antica bugia secondo cui l’ingresso dei clandestini via mare sarebbe stata una invasione e non, come invece è sempre stata, una parte minima di tutti gli ingressi. Il quotidiano Libero titolava a tutta pagina: «Fini ci regala i clandestini», confermando in tal modo che la macchina delle bugie, come la macchina del fango, conta sul “ripetita iuvant”, anche quando si tratta di vere e proprie balle.Daanni il saldo migratorio è intorno alle 400mila unità/anno, mentre gli sbarchi dal canale di Sicilia sono intorno alle 20mila unità/anno, avendo solo nel 2008 toccato il tetto dei 36mila. Cioè tra 5% e 10% del totale. Come è stato possibile che, mentre un consistente flusso migratorio calava sull’Italia da tutt’altre vie - Gorizia e permessi semestrali di ingresso - media e ministri della Repubblica hanno potuto vendere agli italiani la bufala dell’invasione via mare? E come è possibile che la menzogna si ripete quando da anni i dati Istat sulla popolazione ci dicono un’altra verità? È possibile che si dicano tante bugie per difendere il più incivile degli accordi, quello tra Libia e Italia che nega diritti elementari ai richiedenti asilo politico? «La crescita di popolazione residente da 57 a 60,4 milioni tra 2002 e 2010 è stata causata esclusivamente dall’immigrazione», dice l’Istat. E si tratta di migliaia di nuovi immigrati, tra regolari e irregolari, entrati in Italia per una semplice ragione: la forza del mercato, una domanda insopprimibile di braccia dal paese più vecchio del mondo che non fa figli a sufficienza per sostituire i vecchi che vanno in pensione. Persone che continuano ad arrivare malgrado una legge d’immigrazione pessima e un clima reso sempre più xenofobo anche dalle bugie sparse da politici interessati e da media incolti. Nessuna meraviglia che il mercato assorba migliaia di immigrati e che anche in tempi di crisi i posti lavoro italiani siano più a rischio di quelli degli immigrati. Perché unsistema a bassa innovazione come il sistema Italia crea più posti di lavoro umili per gli immigrati, che di qualità per i nostri laureati. E nessuna meraviglia che i Paesi a più bassa natalità d’Europa, come Italia e Spagna, siano anche quelli dove più velocemente sono cresciuti gli immigrati. Seguendo la raccomandazione di Gramsci, se la sinistra studiasse un po’ di più, alcune di queste bugie si potrebbero controbattere meglio.

martedì 2 novembre 2010

Questa è l'Italia, un simil sultanato

È chiaro per tutti, anche a destra, che la festa è finita. Può continuare in privato, naturalmente. Traslocare ad Antigua, in Kenya, nelle dacie o sotto le tende degli amici africani, tra i cactus della Certosa o sotto i baobab del parco di Macherio ma non a Palazzo, non più. Non basteranno cento cloni di Ghedini a dire mavalà per tamponare le falle che si aprono ormai a ritmo di lap dance. Passa Patrizia ecco Noemi, tamponi Ruby ed esce Perla. Bari, Napoli, Milano, Palermo. La rete di reclutamento delle ragazze appare ormai persino agli occhi adoranti di Bondi e Giovanardi per quello che è: un bordello a cielo aperto, si perdoni la definizione tecnica. Tecnica - Ruby era coinvolta fin dal 2009 in un’inchiesta sulla prostituzione a Milano nella quale Nicole Minetti è indagata per favoreggiamento - e sempre più pericolosa. La new entry, Perla, ex assistente parlamentare del senatore Pdl Enrico Pianetta, è un corriere internazionale di droga che sta collaborando coi magistrati. Racconta di un’amica prostituta assidua ospite delle feste presidenziali. La cocaina, schivata per un pelo nel caso D’Addario- Tarantini, ricompare a Palermo. A Milano si indaga intanto sul giro di ragazze e droga nelle discoteche. L’inchiesta un anno fa si imbatte in Ruby e Nicole. Dunque a rigor di logica Silvio B. chiama la questura, il 27 maggio scorso, perché affidi una minorenne già indagata per un giro di prostituzione ad una ex soubrette di sua fiducia poi eletta in consiglio regionale e indagata per favoreggiamento. Ilda Boccassini è impegnata a raccogliere dai vertici della polizia milanese i risvolti di questa interessante vicenda. Si apprende che le ragazze hanno amici potenti - Berlusconi, Lele Mora, Fabrizio Corona - accomunati dalla passione per gli accappatoi bianchi. Figura ingiustamente marginale Michelle, la brasiliana coinquilina di Ruby che avrebbe materialmente telefonato al premier, quella notte, disponendo del suo cellulare privato. In Brasile hanno Dilma Rousseff presidente, noi abbiamo Michelle (ma sui verbali c’è scritto Michele: refuso?). A ciascuno la brasiliana che incarna lo spirito del tempo. Il terzo mondo, con tutta evidenza, siamo noi. Un mondo dove le ragazze che “fanno fortuna” non arrivano alla guida del paese, tutt’al più di un’Audi regalata da Papi. Poi sotto di nuovo in perizoma a ungersi d’olio nel privè, beate loro che possono. Invidiose quelle fuori. Moralisti quelli che non applaudono. In silenzio gli altri. Italia 2010: vince il Brasile 10 a 1. A nessuno sfugge, al di là dei dettagli da mettere a fuoco, quale sia il quadro generale: un paese ostaggio del vorticoso andirivieni dalla camera da letto del presidente con qualche digressione parlamentare a tutela della sua persona dai processi. A destra hanno avuto un’idea luminosa: sostituire Berlusconi con un altro esponente del Pdl. Fare un governo tecnico, sì, ma di destra. Gelmini, per esempio. Non sarebbe fantastica? In subordine gli evergreen Letta o Tremonti, in quest’ultimo caso contenta la Lega. Scacco matto a Fini, pensano. Addio sogni di “governo tecnico” con la sinistra. C’è un esempio inglese: la staffetta Thatcher-Major. Né il Pdl né Berlusconi hanno l’aplomb britannico, però. Prima di uscire di scena così Silvio B. è capace di fare qualsiasi cosa. No, non quelle. Molto peggio.

giovedì 28 ottobre 2010

Loda-Alfano o Lodo-Berlusconi?



Per riassumere l'oggetto dell'articolo riporto una vignetta che fa della sintesi la sua miglior qualità. Non serve aggiungere altro, SolidSnake

mercoledì 20 ottobre 2010

Lodo-Berlusconi

Ma perché diciamo tutti Lodo Alfano? Chiamiamolo per quello che è: Lodo Silvio Berlusconi, con nome, cognome e indirizzo. Un provvedimento necessario, inderogabile. Che serve a salvare il presidente del Consiglio da condanne certe, e non perché i giudici sono comunisti ma semplicemente perché l’andamento di quei processi, l’accumularsi delle prove, le condanne dei correi non lasciano ormai in proposito alcuna plausibile incertezza. È di lui che stiamo parlando, e ha ragione il presidente della Repubblica, con la sobria misura che gli è propria, a tirarsene fuori (questo solo significa la nota di ieri sera, col preciso richiamo alla precedente, del 7 luglio). Lasciatelo fuori, per favore, il capo dello Stato. Evitiamo di farne una foglia di fico. Qui stiamo parlando esattamente e solo di una legge salva-Berlusconi. Stiamo semplicemente dicendo che il cittadino Silvio Berlusconi, per quanti reati gli si contestino, non può essere processato. E non solo per ciò che ha commesso nell’esercizio delle funzioni, ma anche, anzi specialmente, per i suoi tanti reati comuni. E non per quelli caduti durante il mandato istituzionale ma anche per gli altri, tutti i pregressi, per omnia saecula saeculorum. È un nuovo diritto costituzionale, che cancella norme e prassi consolidate: un diritto (se così possiamo continuare a definirlo) fuori e contro la Costituzione. Il voto popolare, più o meno esteso (non stiamo qui a sottilizzare) cancellerebbe di per sé le responsabilità penali. Pazienza se con ciò vanno a carte quarantotto la divisione dei poteri e circa tre secoli di teoria democratica dello Stato. Quello che conta è che chi governa possa farlo in totale tranquillità, magari per poi passare armi e bagagli al Quirinale, dove lo scudo a due posti approvato oggi continuerà a proteggerlo dai giudici anche domani. La serenità nello svolgimento delle funzioni. Ma davvero possiamo pensare che il principio d’eguaglianza, così intimamente connaturato all’idea stessa di democrazia moderna, possa e anzi debba immolarsi sull’altare della serenità dei governanti? Ma cosa sarebbe dovuto succedere, allora, nell’America di Nixon e poi in quella di Clinton all’epoca dell'affare Levinsky? Il voto di ieri in commissione Affari costituzionali mette fine a molti equivoci. Fini e i suoi si rivelano per quello che sono: un’opposizione di sua maestà a sovranità limitata. Finché si scherza si scherza, ma quando è in gioco il Lodo Berlusconi si torna ognuno nella propria casella, a difesa del corpo mistico del re. Ci sono in giro, nel Parlamento e nel Paese, troppe anime belle preoccupate della continuità della legislatura e del cosiddetto rispetto della volontà popolare espressa a suo tempo nel voto. Ha fatto bene Pierluigi Bersani a dire chiaro e netto che il Pd non ci sta. E che sul punto farà, se occorrono, le barricate. Perché l’eguaglianza dei cittadini e il rispetto della Costituzione sono principi non commerciabili, che valgono assai di più di qualunque furbesco tatticismo parlamentare. Vedremo chi lo voterà, questo Lodo Berlusconi. E con che faccia si presenterà domani al giudizio degli italiani.

martedì 12 ottobre 2010

Gli assegni del Fratello

Ancora una volta mi vedo costretto a riportare un articolo dell'eccellente Concita(non che abbia bisogno di me :-) ) come baluardo di verità.


È stata una decisione difficile quella di dedicare oggi al copertina alla premiata ditta Feltri&Sallusti, i titolari del canile di segugi scatenati di volta in volta contro il nemico del padrone di casa, padrone che di cognomefa Berlusconi. Il mondo è grande e le notizie di giornata molte, scegliere di parlare in copertina del Giornale significa in effetti scendere a quel livello di giornalismo ombelicale, di rissa da cortile che già occupa abbastanza i cosiddetti salotti tv. Vorremmo risparmiarla ai nostri lettori. Facciamo eccezione oggi per rispetto della dignità della nostra redazione, ogni tanto un segnale di reazione bisogna pur darlo, c’è un limite anche all’evangelica altra guancia: davanti a una campagna che ci tiene da giorni sulle loro prime pagine, in un ping pong fra Libero e il Giornale, per una volta rispondiamo con la stessa moneta, opponiamo le nostre ragioni ai loro insulti e alle menzogne. Non lo faremo partendo dal linguaggio maschilista e veramente miserrimo che usano quando si rivolgono ad una persona di sesso femminile che non risponda alle categorie a loro note: non ci interessa sottolineare che chiamare "isterica", "oca o gallina" una donna pensando di depotenziare le sue parole, nel confronto di idee e posizioni fra persone, è uno un modo di essere e di pensare che si qualifica da solo. Le menzogne le conoscete. Sabato sera Sallusti e uno dei suoi inviati hanno sostenuto la loro autonomia dicendo che sono stati i primi a chiedere le dimissioni di Scajola: non è vero, sono stati gli ultimi. Il Post di Luca Sofri ha pubblicato un resoconto, rimandiamo a quello. Vorremmo parlare di autonomia e di soldi. Ieri Il Giornale scriveva che prendiamo lo stipendio da un “padrone”, il Pd. Ignorando il fatto che questo giornale ha un editore di nome Renato Soru (da Sallusti definito “uno sconosciuto”) l'argomento è che l’Unità percepisce una quota del finanziamento pubblico all’editoria, finanziamento erogato dal gruppo parlamentare dei Ds. Parliamone, dunque. A partire dalle cifre e da alcune informazioni di base. Il finanziamento pubblico, nel nostro paese, è erogato dal Parlamento, non dal governo, ed è un bastione democratico che serve a riequilibrare le eventuali pressioni di gruppi di potere che volessero strangolare un giornale scomodo facendo leva sulla raccolta pubblicitaria. Proprio quello che accade a noi. Il riequilibrio (tra l’altro parziale, erogato in una quota minima rispetto ai costi anche solo della carta) avviene in una situazione del mercato pubblicitario resa totalmente anomala dal fatto che l’editore più importante (più potente verso gli inserzionisti) è anche il capo del governo. Silvio Berlusconi più volte ha invitato gli imprenditori a non dare pubblicità ai «giornali disfattisti»: cioè a quelli che, come l'Unità, denunciano i suoi abusi. Gli inserzionisti pubblicitari in un paese normale fanno i loro investimenti a partire da dati oggettivi. Quello, per esempio, della readership: quanti lettori ha un quotidiano. Bene, un esempio che illumina: secondo gli ultimi dati dell'Audipress l’Unità ha 389.000 lettori, Libero - che pure, in quanto edito da una Fondazione, gode del finanziamento pubblico - ne ha 379.000. Ma, quanto alla raccolta pubblicitaria, Libero - evidentemente non un nemico per questo governo - raccoglie unacifra di dieci voltesuperioreallanostra. A Berlusconi dunque hanno ubbidito in molti. Imprenditori privati e pubblici. Ecco dunque a cosa serve il finanziamento dei gruppi parlamentari. Noisiamo,l'abbiamodettodalprimo giorno, un giornale del centrosinistra che ha il suo punto di riferimento nella piùgrandeforzadiopposizione:vogliamoessereunostrumento per la crescita e il rafforzamento del Partito democratico come baricentro di un'area che sappia farsi alternativa a un governo chestatrascinandoilPaeseversolacorruzione e la barbarie. Vogliamo farlo conspirito critico:dandovoce allabase e dando al vertice il modo di dibattere pubblicamente di parlare alla base. Sono questi i nostri unici padroni: l'esercizio della democrazia, la Costituzione. E la professionalità: sipuòavere lo stesso orizzonte di una vasta area politica ed essere giornalisti liberi. Il giornalismo non è obiettività, ma onestà.Èl'onestà di raccontarela verità dei fattiedel dichiarare il propriopunto di vista. Dichiararlo, non modellarlo in base alle esigenze del datore di lavoro, il presidente del Consiglio, che stacca, loraccontiamooggi,ogniannodegliassegni milionari per i debiti del suo giornale. Il finanziamento pubblico è un’altra cosa.Saremmofelici di poterne fare a meno. Se solo ci fosse una legge sul conflitto di interessi, se nell'editoria italiana si ripristinassero le leggi di mercato.

venerdì 8 ottobre 2010

Cani da riporto

Pubblico oggi un articolo di Concita De Gregorio

Vediamo se è ancora possibile ragionare in questo schifoso e pericoloso clima da fossa dei leoni, il pubblico eccitato dal sangue. La nostra specialità - ne abbiamo da tempo purtroppo l'esclusiva - è la fiducia nella giustizia. Nei magistrati, che per niente al mondo additeremmo al pubblico disprezzo: quando poi ricevono bazooka sulla scrivania ci chiederebbero senz'altro se ci sentiamonoi i mandanti. Abbiamo assoluta fiducia e certezza che la magistratura milanese chiarirà al più presto la dinamica dell'odioso attentato a Belpietro, che farà corrispondere un nome all'identikit e ci spiegherà anche il movente, in assenza - finora - di rivendicazioni. Abbiamo altrettanta fiducia nei magistrati che indagano sull'ipotesi di "violenza privata" ai danni di Emma Marcegaglia, e non ci sogneremmo di andare a vedere se portano i calzini celesti o si chiamano Ermenegildo per metterli in ridicolo. Abbiamo anche molto a cuore il nostro mestiere: un lavoro difficile che ci mette ogni giorno tutti quanti in pericolo. Non ci piace affatto che la redazione di un giornale venga perquisita, che si cerchino prove delle intenzioni. Vale per il Giornale come per tutti. I fatti. Il vicedirettore del Giornale di proprietà della famiglia Berlusconi, all’indomani delle critiche di Emma Marcegaglia al governo, manda un sms ad un collaboratore del presidente di Confindustria: «Domani super pezzo giudiziario sugli affari della family». Poi, al telefono: «Adesso ci divertiamo, per venti giorni romperemo il cazzo alla Marcecaglia come pochi al mondo! Abbiamo spostato i segugi da Montecarlo a Mantova », la città dove Macegaglia vive. La presidente di Confindustria dice (non in tv: agli inquirenti) di sentirsi minacciata e ricattata. Ora Porro dice che scherzava. Feltri che «Marcegaglia ha rotto i coglioni». I metodi del Giornale e di Libero - “il trattamento Boffo” - sono noti, non c'è bisogno di ricordare come siano stati trattati di volta in volta i «nemici» del Premier: la moglie, Boffo, Fini, Chiara Moroni, decine di altri. Se «Il Giornale » avesse dedicato anche solo un centesimodi queste attenzioni alle vicende giudiziarie del suo padrone sarebbe credibile. Ma il Giornale non fa inchieste su Berlusconi. Anzi, da qualche giorno - da quando Fini ha detto: o la smettete o faccio cadere il governo - è scomparsa dalla prima pagina anche la casa di Montecarlo. «Spostiamo i segugi a Mantova», ha detto Porro. I segugi, bella parola antica che evoca il giornalismo d'inchiesta, quello del "cane da guardia" che controlla i potenti. Se il canile è di famiglia, però, i cani in genere sono da compagnia. Al massimo da riporto, o da combattimento. Le famiglie possono essere luoghi orribili. Solo questo vorrei dire del delitto di Sarah, sul quale veramente non ci sono parole che bastino. Una storia di famiglia. Una famiglia italiana. Tutti sposati in chiesa, nessuna coppia di fatto, nessun legame omosessuale, nessun figlio in provetta, nessuno 'straniero' acquisito. Tutto "secondo natura". Una bella famiglia tradizionale di quelle su cui si fonda la nostra civiltà superiore. Lo zio, la cugina, il cognato. In genere a morire sono le donne, vorrei dire anche. Ogni giorno. E' una guerra anche questa. Anzi, un'ecatombe.

martedì 5 ottobre 2010

Il Nobel all'uomo che ha favorito la vita.

Una bella notizia, il Nobel a Bob Edwards. Lo scienziato inglese che dagli anni ’60 del secolo scorso si è impegnato nel mettere a punto la fecondazione in vitro con trasferimento di embrione: una tecnica che ha cambiato il modo di attuare la riproduzione umana e dato una svolta agli studi sull’embrione. Il Nobel non solo corona una vita dedita alla ricerca di un grande studioso di notevole spessore culturale, ma soprattutto è il sigillo dato dal mondo scientifico alla bontà della fecondazione assistita: la scienza riconosce che l’ampliamento del controllo umano della riproduzione è qualcosa di buono per l’umanità, di meritevole della massima onorificenza per uno scienziato. Di fronte a un simile riconoscimento a dir poco impallidiscono le critiche mosse da alcune religioni alla nuova tecnica, accusata essere contraria alla “vita” e alla “dignità della procreazione”.Nonsi capisce proprio in che senso si possa dire che sia contraria alla vita una tecnica che ha consentito la nascita di ormai oltre 4.000.000 di bambini. Si dovrebbe dire al contrario che è una tecnica che favorisce la vita e consente alle persone di avere figli anche quando la natura non li dispensa più. Ancora più difficile è capire perché dovrebbe essere contrario alla “dignità della procreazione” ricorrere all’assistenza tecnica per avere figli. Forse lo si può dire solo assumendola “naturalità”comecriterio normativo, supponendo che la natura sia buona e dimenticandocomeinvece in realtà sia spesso avara e matrigna. Fortuna che l’uomo grazie alla scienza e alla tecnica riesce a rendere il mondo meno duro e più agevole. Solo inveterati pregiudizi antiscientifici possono far pensare il contrario. Il Nobel a Edwards deve essere anche uno stimolo a ripensare l’etica e la politica sulla fecondazione assistita. In Italia, sfruttando abilmente lo sgomento generato da alcuni casi eclatanti di fecondazione assistita si è detto che c’era una preoccupante deregulation (il Far West), e si è approvata una legge liberticida che non solo penalizzaun numeroalto di cittadini nell’impegno di avere figli, ma ha fatto anche arretrare l’intera riflessione bioetica, favorendo ‘idea che la scienza comporti una sorta di “eccesso” da reprimere. Oggi questo clima conservatore informa il disegno di legge Calabrò sul fine della vita che ci riporta a prima degli anni ’50, e aleggia come uno spettro sulla campagna elettorale che molti danno per imminente. Il premio Nobel a Edwards ci ricorda che la scienza è vettore di progresso morale e che molte delle remore diffuse sono frutto di pregiudizi e tabù. Invece di chiedere perdono per gli errori tra qualche anno, come già hanno fatto su altri temi, è bene chi i critici della scienza si ravvedano da ora, evitando inutili sofferenze.

sabato 2 ottobre 2010

La "vittima" ed il "carnefice"

L’effetto è assicurato. Berlusconi è sottotono, spento, sfiduciato? Niente paura. Pigi il tasto ADP e tutto torna a posto. Lui si riaccende, l’adrenalina sale. Ad ogni stoccata di Antonio Di Pietro - “maestro della massoneria” grida - Berlusconi riprende colorito. “Testa della piovra”: petto in fuori, pancia in dentro, si riparte. “Nerone e pidduista”: più quello colpisce, più lui si rianima. Effetto viagra. A guardarli mercoledì dalle tribune, per un attimo si ha l’impressione che siano ancora loro i protagonisti: Berlusconi e Di Pietro, capaci da sempre di alimentarsi a vicenda, indispensabili l’uno all’altro. Stavolta però è, appunto, solo un’impressione. Perché il centro della scena si sta spostando altrove e questo è solo l’ultimo sequel di un film che va in onda da 16 anni. Il fustigatore e l’impenitente. “Imputato Berlusconi”: l’apostrofa ADP. E il premier quasi non ci crede: io vittima, lui carnefice. Come al solito. Se non fosse che stavolta la gag ha un sapore vagamente crepuscolare. Perché entrambi sono invecchiati e finiti politicamente all’angolo nel giro di pochi mesi. L’uno imperatore (momentaneamente) senza impero, appeso allo starnuto di un Calearo qualsiasi e ai voti di Bocchino & Co. L’altro ossessionato dalla difesa del proprio spazio politico dalle mire degli amici di ieri: dei grillini che tra un rock e l’altro si riorganizzano o di Vendola che ogni mattina si sveglia, si autoproclamaleader e invita tutti gli antiberlusconiani del mondo ad abbracciarsi nel nome della “speranza”. Tuttavia, mentre da Berlusconi il colpo di coda devi aspettartelo, perché l’uomo è quello che è e non molla mai la presa, da Di Pietro non sai proprio cosa attenderti. Più su del Quirinale non può sparare e del resto lo ha già fatto. Il Pd - che con l’intervento di Bersani in Aula gli ha dato una lezione di come si fa opposizione - lui lo usa come punchball, tanto che non conviene perdere tempo a ricordagli chi lo ha portato in Parlamento. L’ultimo bersaglio è Fini. Ma come? Il fortino FL è sotto assedio e il campione dell’antiberlusconismo non lo difende? Macché: Fini è complice, deve dimettersi. Caso vuole che sia proprio Di Pietro, nell’orazione più veemente dai tempi di Tangentopoli e dei cappi leghisti, a provocare il solo scambio di sguardi tra il presidente del Consiglio e il presidente della Camera, costretto dal suo rango istituzionale a richiamare l’ex magistrato all’ordine. Segnali. Segnali che arrivano nell’unico momento, dal 1994in poi, in cui mettere fine al berlusconismo è diventato un obiettivo raggiungibile. A patto, però, di saper convogliare su di esso l’unità di tutte le forze interessate davvero al superamento delle infinite degenerazioni berlusconiane. Non ci resta che confidare nell’effetto ADP.Che stavolta sta per “A Dio Piacendo”. E Di Pietro non se ne abbia a male.

mercoledì 29 settembre 2010

Intervista a Miriam Lamizana

«Quando le mutilazioni ai genitali si annunciavano via radio»

La presidente del Comitato interafricano contro l’escissione dei genitali
femminili: «Una risoluzione delle Nazioni Unite può aiutare le donne»

Miriam Lamizana ricorda ancora quando in Ciad si usava annunciare via radio la mutilazione sessuale delle proprie figlie. «Era una grande festa. Fuori c’era gente che ballava e cantava, dentro si sentivano gli strilli delle ragazzine. Se accadesse ora, se qualcuno provasse ora a dare un simile annuncio per radio, beh credo proprio che arriverebbe la polizia». Miriam Lamizana, già ministro degli Affari sociali del Burkina Faso, è presidente del Comitato interafricano contro le mutilazioni genitali femminili, in questi giorni aRomadopo essere stata aNewYork per sostenere l’approvazione di una risoluzione Onu contro questa pratica che ha sfregiato 150 milioni di donne nel mondo. In Italia ha trovato una sponda nell’associazione «Non c’è pace senza giustizia», che con Emma Bonino e il ministero degli Esteri sostiene la campagna perché si arrivi ad una risoluzione delle Nazioni Unite. «Sarebbe il coronamento di tutto il lavoro fatto in questi decenni e lo strumento per andare avanti», dice Miriam. Il «lavoro» di cui parla è quello che oggi le consente di ridere, quando racconta degli annunci alla radio del Ciad. «Se lo immagina lei, un annuncio per dire: venite tutti alla mutilazione di mia figlia? ». Perché non importa che sia parziale, non importa che il taglio preveda o meno l’amputazione completa dei genitali esterni. Non importa se sia infibulazione o escissione, o come la si voglia chiamare. Quello che è in gioco è il diritto delle donne a veder rispettata l’integrità del proprio corpo, undirittoumano, questo dice la bozza di risoluzione.
Come è nata questa campagna?

«All’inizio è stata soprattutto l’iniziativa di singoli attivisti, che sono riusciti nel tempo ad allargare la loro presa fino a coinvolgere i governi e istituzioni internazionali. Se proprio vogliamo indicare una data, è il decennio che parte dal 1975, quando si sono moltiplicate le iniziative contro la violenza sulle donne. Nel 1984è nato il Comitato interafricano, che ha deciso di creare una propria struttura in ognuno dei 28Paesi in cui si praticava l’escissione, in gran parte paesi dell’Africa occidentale e specialmente sub-sahariana, oltre al Corno d’Africa».
Una risoluzione Onu può cambiare davvero il ricorso ad una pratica che spesso è già vietata?
«Bisogna capire che noi lavoriamo per tappe. Abbiamo cominciato a livello nazionale, per vedere quali fossero gli ostacoli. Abbiamo fatto un’azione di sensibilizzazione, cominciando a parlare dei problemi che l’escissione provoca per la salute delladonna e del bambino. Poi abbiamo cominciato a ragionare sull’educazione e sull’autonomia economica delle donne: sono tutti aspetti dello stesso problema. Ci sono resistenze socio-culturali che non si possono rimuovere dall’oggi al domani.Macon l’azione dal basso abbiamo spinto il governo a prendere coscienza del problema e a riconoscere le associazioni che vi si dedicavano. Poi siamo passati su una scala regionale. Con la ratifica nel2005 del protocollo di Maputo, che vieta tra l’altro le mutilazioni genitali femminili siamo riuscite a fare un altro passo: il protocollo ha spinto molti Paesi che non l’avevano a dotarsi di una legge specifica a questo proprosito. Oggi gli Stati che vietano l’escissione sono diventati 15 su 28, prima erano otto o nove. Per questo credo che la risoluzione Onu avrebbe un grande valore politico, perché spingerebbe i governi ad assumerepolitichesempre più chiare e decise sulle mutilazioni genitali. E c’è poi un altro punto: servirebbe ad innescare la solidarietà di quei Paesi dove questa pratica non esiste, che potrebbero però dare un aiuto».
Che tipo di risposta avete trovato nei Paesi africani? Che cosa è cambiato?
«Il cambiamento si vede soprattutto nelle nuove generazioni. Nelmio Paese, per esempio, la percentuale dimutilazioni inflitte alle bambine è scesa dal 75 al 38%, con un processo cominciato dagli anni ‘70. In tutto questo tempo è caduto un tabù, che in Africa è molto forte quando si fa riferimento al sesso, e si è cominciato a parlare dell’escissione come di un problema, quanto meno di salute se non di diritti umani. C’è stata una presa di coscienza. In Mauritania, per esempio, i leader religiosi hannoemessouna fatwa contro le mutilazioni genitali. Ci sono programmi statali di informazione, che si preoccupano anche di trovare un lavoro alternativo alle donne che fino a questo momento hanno praticato l’escissione. Bisogna procedere per gradi,mail segno del cambiamento c’è».
Come riuscite a convincere le comunità locali, dove si esercita materialmente la pressione sulle donne, a cambiare atteggiamento?
«Il mezzo principale è l’informazione. Cominciamo con le ostetriche. Una volta durante il parto si preoccupavano di riaprire le donne escisse, per far nascere il bambino, ma non dicevano nulla. Oggi invece spiegano alla nuova madre e alla sua famiglia perché devono procedere in questo modo, spiegano il dannoprodotto dall’escissione e i rischi che comporta. Vengonoaffrontati anche problemi sessuali. Spesso capita infatti che la mutilazione dei genitali esterni, soprattutto quando è praticata in bambine molto piccole, cicatrizzi quasi completamente rendendo impossibile il rapporto sessuale. Facciamo vedere foto, video o manichini. E mostrare che cosa sia davvero un’escissione è molto più efficace di tante parole».
L’escissione è stata spesso considerata una cerimonia di iniziazione. Come si supera questo scoglio?
«Questo è sempre meno vero. L’introduzioni di leggi che la vietano, ha spinto a ricorrere a questa pratica in clandestinità, anticipando molto i tempi. Quando arriva il momento della cerimonia di iniziazione all’età adultà, le ragazze hanno spesso già subito la mutilazione. Le due cose quindi si sono separate. Noi cerchiamo di conservare la festa e cancellare il danno».
In Africa c’è una crescente presenza politica della donne. È questo che ha fatto la differenza?
«Potrei dire che è vero il contrario. C’è stata la generazione nata negli anni 50 che è stata molto attiva a livello di base, anche sul tema delle mutilazioni genitali, eda questa generazione sono emerse figure politiche. Ma è un processo che è cominciato dal basso, non viceversa».

lunedì 27 settembre 2010

Intel, processori e soluzioni per governare ogni congegno.

Per una società in cattive acque cercare di cambiare pelle è un fatto abbastanza naturale. Ben diverso il discorso se a farlo è un’azienda con il vento in poppa da molti anni, come indubbiamente Intel, leader nel settore dei processori. «Ma la nostra forza, in un mondo in velocissima evoluzione come quello dell’informatica e della tecnologia, deve anche essere quella di prevedere e governare i cambiamenti. E i cambiamenti importanti di questi tempi nonmancano proprio...». A parlare è Dario Bucci, che di Intel amministra la filiale italiana, a pochi giorni di distanza dalla conclusione dell’IDF di San Francisco, l’evento annuale dove il colosso dei chip annuncia le sue più importanti novità. «Stiamo entrando in unafase dove i computer, siano essi desktop o portatili, non saranno più gli unici protagonisti. Andiamo verso un futuro nel quale ci sarà una miriade di dispositivi connessi ad Internet, soprattutto in mobilità e quindi senza fili. Per il 2020, ad esempio, stimiamoche saranno 31miliardi gli apparecchi connessi al Web nel mondo, utilizzati da 4 miliardi di persone. Ecco, è in un mondo del genere che Intel vuole mantenere la sua leadership ». Il che comporta già da adesso, appunto, una mutazione nelle strategie e nella realizzazione dei prodotti. «Il nostro obiettivo - spiega Bucci - si sintetizza nel concetto di “Continuum Computing”, che poi significa fornire agli utenti una continuità d’architettura nei nostri prodotti, indipendentemente dal tipo d’apparecchio nel quale sono collocati, sia esso un pc, un tablet piuttosto che un televisore». E con queste premesse, continuare a parlare di Intel come di un produttore di processori, è riduttivo: «Da molto tempo l’azienda è leader mondiale nella produzione di semiconduttori, e nello sviluppo della relative tecnologie, che poi sono il “cuore” di centinaia di milioni di computer. Ma per estendere il nostro primato ad una tipologia di apparecchi più ampia occorre sviluppare altri elementi.Ne individuo tre: l’efficienza energetica dei chip, la connettività Wi-Fi sempre più performante e la sicurezza». Quello della sicurezza è un elemento che potrebbe sembrare non così vicino ad Intel, ed invece l’azienda ha acquistato pochi mesi fa un gigante del settore quale McAfee. «In realtà - dice Bucci - operare una distinzione secca fra aziende che si occupano di hardware e quelle del software avrà sempre meno senso. Riallacciandoni a quanto detto, i nostri prodotti rappresenteranno sempre più delle versatili soluzioni di computing, ed in quanto tali dovranno incorporare anche degli elementi software. Questo però non significa che ci trasformeremo in un’azienda che vende direttamente dei programmi agli utenti, non a caso abbiamo deciso di lasciare operare McAfee in autonomia, senza trasformarla in una divisione di Intel». Soluzioni di computing che comunque manterranno i circuiti di silicio, sempre più potenti ed efficienti, al centro di tutto. In quest’ambito Intel ha mostrato all’IDF la gamma aggiornata delle sue proposte. «Siamo pronti ad immettere sul mercato la famiglia di processori Intel Core di seconda generazione. I chip (nome in codice “Sandy Bridge”, ndr) sono basati sulla nuova microarchitettura Intel a 32 nanometri utilizzando transistor a loro volta di nuova generazione. Del resto, nella nostra “road map” è prevista la ciclica introduzione di microarchitetture realizzate con un numero sempre minore di nanometri. E questo ci permetterà di esportare le nostre soluzioni in dispositivi sempre più piccoli, ad esempio gli smartphone». Altra importante innovazione, la concentrazione nel medesimo “pezzo” di silicio delle funzioni grafiche: «I nuovi Core i3, i5, i7, svolgeranno da soli il lavoro grafico che prima necessitava di una scheda video installata all’interno di un computer. Un risparmio in termini di costo ma non solo; infatti, aumenterà in modo notevole l’efficienza di alcune operazioni sempre più richieste dagli utenti, comela conversione inunaltro formato video dei filmati acquisiti con il pc, ad esempio quelli realizzati con una videocamera».

sabato 25 settembre 2010

Berlusconi,Fini e la "casa" del cognato Tulliani

Allego una vignetta di Staino,che ci spiega tutto con una sintesi folgorante :-)

venerdì 24 settembre 2010

Il miracolo dell'immondizia napoletana

L’immondizia ha già raggiunto le 700 tonnellate, rapidamente potrebbero raddoppiare. E’ questo l’ultimo bilancio della spazzatura a Napoli, uno dei “miracoli” del governo Berlusconi - ci lavorò parecchio in campagna elettorale, come ricorderete. Solo l’ultimo miracolo in ordine di tempo, il penultimo essendo la ricostruzione dell’Aquila, mai neppure progettata né pensata. Ma questa immondizia - quella di cui parliamo e che documentiamo nel giornale di oggi - per lo meno, è quantificabile. L’altra spazzatura, quella romana, non presenta nemmeno questo vantaggio. Occupa meno spazio, è meno voluminosama emana miasmi insopportabili. Una fogna a cielo aperto che ci sta avvelenando tutti. Avvelena prima di tutto la maggioranza di governo: siamo ben oltre i sospetti. Siamo ad accuse che, in paesi più fortunati, molto raramente vengono lanciate tra parti avverse. Da noi succede tra alleati. In due parole: i finiani accusano il presidente del Consiglio di aver ordinato il confezionamento di dossier falsi e infamanti contro il presidente della Camera. Non sarebbe la prima volta, del resto. Da anni l’uomo che siede a Palazzo chigi è terminale e smistatore di informazioni confidenziali contenute in nastri, pennette, dossier come questo giornale ha documentato per primo, per esempio, a proposito del nastro di Natale su Fassino. Oggi i finiani affermano di aver individuato il “confezionatore”. Ne forniscono un identikit: «Una persona molto vicina al premier che ha girato per il Sudamerica». Curioso: se non fosse ormai troppo anziano avremmo riconosciuto in questa descrizione uno dei primi maestri e mentori di Silvio Berlusconi. Licio Gelli. Si tratta invece di un giovanotto, al cospetto degli ottantenni protagonisti di questa storia: un uomo di fatica esecutore materiale di ordini altrui. Leggete in cronaca. Nell’intervista esclusiva a Umberto de Giovannangeli Massimo D’Alema, presidente dell’organismo parlamentare di controllo dei nostri servizi segreti, afferma la necessità di attivare tutti gli organismi di vigilanza e aggiunge due concetti: che le responsabilità politiche sono evidenti, e che «sono in corso attività vergognose di dossieraggio». Lo dice da responsabile del Copasir: è qualcosa di più di un’opinione, è un’accusa gravissima. Anche in questo caso in un paese normale si fermerebbero le macchine. Qui: nulla. Qui succede che giornalisti stipendiati dal premier che scrivono su giornali per i quali la sottosegretaria Daniela Santanchè procaccia milioni e milioni di pubblicità siano sospettati - qualcosa di più, secondo D’Alema - di confezionare articoli con il favore di amici compiacenti - in Italia e all’estero - allo scopo di eliminare l’avversario politico. Una storiaccia delle più nauseanti. Non si capisce come Fini e i suoi parlamentari possano ancora pensare di sostenere un governo che - oggettivamente, se non direttamente - ordisce questo tipo di trame. Questo è il paese. Una situazione tragica per le istituzioni che chiama l’opposizione all’unità e alla mobilitazione. Conforta constatare che ieri, nella direzione del Pd, anche se con toni a volte duri, si è ritrovata la strada del confronto e del dialogo. Ecco, non abbandoniamola. Nessuno può più permetterselo.

mercoledì 22 settembre 2010

La strana energia di Tremonti

Le sparate del ministro sul nucleare.

Tremonti non vuole essere da meno di Berlusconi in fatto di disinformazione. Lo ha dimostrato sulla crisi finanziaria, da lui prima smentita poi paventata e ora riproposta a corrente alternata. Lo ho confermato, in maniera ancora più imbarazzante, parlando di energia all’iniziativa del Pdl di Cortina d’Ampezzo. Riporto integralmente il “Tremonti pensiero”: «Un punto che ci penalizza è quello del nucleare: noi importiamo energia. Mentre tutti gli altri Paesi stanno investendo sul nucleare noi facciamocomequelli che si nutronomangiando caviale, non è possibile.Nondobbiamo credere a quelli che raccontano le balle dei mulini a vento, le balle dell’eolico, vi siete mai chiesti perchè in Italia non ci sono i mulini a vento? Quello dell’eolico è un business ideato da organizzazioni corrotte che vogliono speculare e di cui noi non abbiamo certo la quota di maggioranza ». Come al solito, un misto di parziali verità condito con realtà ignorate, populismo e allusioni. È vero che l’Italia importa elettricità dalla Francia,mail ministro dimentica di dire come e perché. Le centrali nucleari francesi non si possono spegnere e continuano a produrre energia elettrica anche di notte quando c’è menorichiesta. Per questo i francesi sono costretti a svenderla all’Italia che può comprarla a prezzi stracciati. Al contrario la Francia non ha sufficiente elettricità per coprire il suo alto fabbisogno di giorno, al picco della richiesta, ed è costretta a importarla proprio dall’Italia che ha un eccesso di capacità produttiva di energia elettrica. Come è ben noto (Le Monde, 17 novembre) è più la quantità di energia elettrica che la Francia importa di giorno di quella che esporta di notte. Come si vede mezze verità condite da una colossale bugia: l’Italia ha un eccesso di capacità produttiva e non ha bisogno di nuove centrali, tantomeno nucleari. Sull’accusa di malaffare abilmente gettata contro le fonti rinnovabili il ministro dovrebbe sapere che sono i grandi appalti e la scarsa trasparenza ad attirare il rischio di corruzione e di infiltrazioni di organizzazioni criminali. Basta l’esempio della “protezione Civile SpA”, di cui Tremonti e il suo governo hanno la “quota di maggioranza”. Infine, il nuovo Tremonti europeista non può certo ignorare che lo sforzo verso l’efficienza energetica (consumi più efficienti e non più centrali) e l’uso delle fonti rinnovabili sono indicazioni che vengono dall’Europa che ha stabilito l’obiettivo di ridurre il fabbisogno del 20% e di aumentare, contemporaneamente, del 20% la quota di energia prodotta con fonti alternative ai combustibili fossili e al nucleare.Masi sa, per diventare premier occorre superare il maestro! Mi sembra che Tremonti ci stia riuscendo almeno per quanto concerne la demagogia e la superficialità.

Colonizzati dal raìs

Da Eni a Impregilo

la fiera degli ipocriti

Dietro le pressioni a dimissionare Profumo non si può proprio dire che ci sia l’orgoglio di una classe politica e imprenditoriale. Erano in 800 a Roma per Gheddafi


Alla «cena degli 800» era presente il gotha dell’economia e della finanza del Belpaese. Tutti in fila per rendere omaggio al Colonnello munifico. E agli agognati fondi libici.A genuflettersi erano in molti. A cominciare dal Cavaliere, l’artefice primo di quella «diplomazia degli affari» che ha portato l’Italia berlusconiana a sdoganare alcuni tra i peggiori dittatori al mondo.Per questo è solo cattiva propaganda, e pessimo giornalismo, interpretare il siluramento di Alessandro Profumo come il gesto d’orgoglio di un potere politico, e finanziario, che rifiuta di assecondare le mire espansioniste del Rais di Tripoli. Perché se così fosse, a dover essere «dimissionati» sarebbero in molti. Un esercito. Dall'Eni a Finmeccanica, fino ai grandi costruttori, tra tutti Impregilo e Italcementi, impegnati nell'opera di infrastrutturazione della ex colonia italiana, a partire dai 1700km della nuova «superstrada» Rass Ajdir-Imsaad, la cui realizzazione sarà affidata a imprese italiane. L’asse degli affari Tripoli-Roma è molteplice. A cominciare dalle Banche. È questo il settore più recente, ma che ha fatto molto discutere, sul quale la Libia ha messo gli occhi e anche molti soldi. La Libyan Investments Autorithy (Lia), il braccio finanziario di Gheddafi nato con lo scopo di gestire i proventi del petrolio, ha portato la propria partecipazione in Unicredit al 2,59%, facendo così lievitare l'intera compagine libica oltre il 7,5%, visto che la Banca Centrale Libica e la Libyan Arab Foreign Bank sono insieme titolari del 4,98%: con quest'operazione i libici sono diventati il primo socio della banca, superando anche gli Aabar di Abu Dhabi. DalleBanchealle Tv. La Laftitrade, finanziaria del Colonnello, e la Fininvest sono presenti con quote rispettivamente del 10% e del 22% nel capitale della società di produzione e distribuzione cinematografica Quinta Communications, fondata da Tarak Ben Ammar. Per non parlare delle Costruzioni. La «voce» più importante è quella relativa all'Autostrada sulla costa mediterranea della Libia: il Trattato di amicizia tra i due Paesi prevede che Roma versi a Tripoli cinque miliardi di dollari per la realizzazione dell'opera alla quale, parteciperanno imprese italiane: la fase di prequalifica è conclusa e sono interessate21aziende del nostro Paese. Sempre nel settore,c'è da registrare che la Lybian Development Investment Co si è associata con Impregilo nella Impregilo Lidco. Finmeccanica. La Lybia Africa Investment Portfolio ha avviato unanuova joint venture con la holding italiana (dopo la Liatec, Libyan Italian Advanced Tecnology Company, costituita nel 2006 per realizzare elicotteri). Il consorzio formato da Ansaldo Sts e Selex Communications ha firmato con Zarubezhstroytechnology, società controllata dalle Ferrovie Russe Jsc Rzd, un contratto da247 milioni di euro per realizzare sistemi di segnalamento, alimentazione e comunicazione sulla tratta da Sirte a Bengasi.

lunedì 13 settembre 2010

Pescherecci e prostituti

«Oggi potremo parlare di molte cose; della scuola zeppa di simboli leghisti ad Adro per esempio, e qualcuno potrebbe replicare che se questo servisse loro ad imparare a leggere e scrivere potremo anche tollerarla.»

Ma preferisco dirottare la nostra attenzione sulla motonave crivellata di colpi.


Siamo ancora capaci di trovare grottesca la nostra privata tragedia pubblica? Vediamo, facciamo un test. L’amico libico, il caro colonnello, ci spara addosso ad altezza d’uomo. Ci spara non per intimidire: per ammazzare. Non lui personalmente, certo. I suoi. Bisogna immaginare la scena. Si incrociano al largo di Mazara del Vallo due imbarcazioni, entrambe italiane. Una è un peschereccio in giro per ispezione, a bordo c’è anche - tra gli altri - un ufficiale della Guardia di Finanza. L’altra è una motovedetta che Silvio B. ha da poco regalato all’amico Gheddafi in “segno di amicizia”, non ridete che c’è poco da ridere. Dunque, una volta donata, la motovedetta italiana è ora libica. Quest’ultima intima l’alt al peschereccio. Lo fa, per la precisione, un tipo che - riferiscono i testimoni - parla un italiano perfetto (è andato in regalo al colonnello insieme al natante?) e che dice «se non vi fermate questi vi sparano», segnalando con “questi” la sua estraneità al resto dell’equipaggio. Si immagina la rapida consultazione fra il comandante del peschereccio e l’ufficiale della barca minacciata. Decidono di aprire al massimo i motori e di far rotta verso Lampedusa, evidentemente non confidando nel fatto che “questi” siano al corrente del patto di amicizia italo-libico con seguito di circo barnum, studentesse di corano a pagamento e tentativo di comprare le sorgenti dell’acqua Fiuggi da parte del despota. Di seguito la motovedetta appena regalata in segno di fratellanza spara raffiche di mitra che colpiscono la cabina, uomini a terra, proiettili che forano ogni cosa, terrore, fuga. Salvi per miracolo. Per molto meno si sono scatenate guerre. Ora però: come si fa a dichiarare guerra all’amico libico, all’uomo a cui si bacia la mano, al socio in affari con cui si tratta di gas, di tv, di banche? Così il povero Frattini è costretto dopo ore di angoscioso silenzio a dire che “sparavano in aria”, sfidando l’evidenza delle foto che mostrano i fori dei proiettili, la cabina di pilotaggio un colabrodo. Ma che volete che sia la realtà, una cosa da nulla. Attendiamo disposizioni perché gli ufficiali della GdF restino a terra. Finchè sono i pescatori a morire pazienza. Quando tocca a un ufficiale diventa un problema. Vedrete che staranno a casa. Quadro numero due. La nuova star dell’empireo berlusconiano - consuma le sue stelle come benzina per motoscafi, vediamo questa quanto dura alla prova autunnale delle risse in tv - fa di nome Stracquadanio: è quello di “riserveremo a Fini il metodo Boffo”, uno che non controlla benissimo gli impulsima non si può chieder tutto a un politico, il successo di Bossi gli dà in fondo ragione. Dunque Stracquadanio ha detto ieri con grande tranquillità che non vede niente di male nel fatto che ci si prostituisca per arrivare al successo e al potere. «Una fa del suo corpo quello che crede». Una, e anche uno. Del corpo e della testa, evidentemente. La vera novità dell’ultima stagione politica è la prostituzione maschile, quella dei cervelli all’ammasso in cambio di denaro. Sempre che ci sia il cervello, naturalmente. Se no si tratta di donazione spontanea. Suggerirei a Silvio B. di accersene caso per caso, perchè in assenza di scambio non deve nemmeno pagare. Potrebbe risparmiare.

Berlusconi fa il gagà e tenta i centristi.Ma senza Casini

Le signore fanno «la fila» per fidanzarsi con lui perché «leggenda vuole » che «ci sappia fare» a letto. Aspirano all’eredità, naturalmente: l’età è quella che èmala «grana» fa gola a tutte. E se molti ragazzotti non trovano lavoro in Italia Silvio dà qualche consiglio. Non vogliono saperne di una delle sue figlie ancora «libera»? Vadano all’estero, allora, a fare un po’ di esperienza. Le ragazze pensino a cercarsi un marito «ricco» e i maschi facciano altrettanto. Non nel senso di «maritarsi» tra loro, «non equivochiamo », se la ride il Cavaliere. «Vedo già i titoli dei giornali: “Berlusconi è gay”». Servono «ragazzi belli ma anche intelligenti», corregge Giorgia Meloni che cerca invano di contenere il premier balbettando qualcosa di politicamente corretto. Ma il «fiume in piena» - così lo definisce il ministro della gioventù in una delle rare occasione in cui riesce a proferire verbo - è incontenibile. Ad ogni domanda risponde con un comizio. Poi, però, quando s’avvicina l’ora di pranzo, il Cavaliere tradisce una certa impazienza e si fa paladino della platea bersagliata dal sole e dal caldo, con l’evidente raccomandazione di stringere i tempi del dibattito. Dopolo show di Mosca, quello del Celio per la festa di settembre dei giovani di An approdati nel Pdl. Dalla fusione è nata la «Giovane Italia» guidata dalla Meloni. Fischi per Fini e applausi per il premier, in questa domenica mattina a due passi dal Colosseo. Per i giovani di Atreju Berlusconi è un mito. I maxi schermi rimandano volti di ragazzi che ascoltano partecipi e attenti. Silvio li ricambia con le solite barzellette, perché bisogna «diffidare da chi non ride mai». «Alzi la manochi non conosce quella su Hitler. Nessuno? Allora la racconto...». Aveva avviato il suo comizio-dibattito con una lunga tirata sui mali del comunismo e adesso inneggia alla par condicio. «Bene - commenta - Abbiamo sistemato anche il nazismo». CERCA LA GRANDE MAGGIORANZA La politica, a questo punto. «Speriamo di fare meglio del Milan e della Roma - ammicca Berlusconi, alludendo alla crisi del suo governo - masì che ce la facciamo. Sicuramente ». Le elezioni anticipate? «Andremoal voto tra tre anni». Poi la risposta indiretta alla sfida di Fini sul suo intervento alla Camera del 28 settembre. «Abbiamo un programma, i cinque punti che porteremo in Parlamento spiega Berlusconi - presenteremo una risoluzione che dovrà essere votata e vi dico che ci sarà una grande maggioranza». Silvio ostenta sicurezza: altro che 316 voti! Ce ne saranno molti di più a favore del governo. Il premier sa bene, però, che senza i finiani i suoi numeri ballano. E allora giù a far loro la corte, per farli divorziare da Fini. «Non ci sono state espulsionimasolo dei deferimenti di tre persone al collegio dei probiviri che ancora non si è riunito - afferma - Hanno pagatoun debito di riconoscenza verso chi li ha messi in lista facendoli eleggere (Fini, ndr.), ma non credo vogliano venir meno all’impegno preso con gli elettori. Ciascuno di loro sarà leale anche al simbolo del Pdl su cui è scritto Berlusconi». NELL’ORTO DI CASINI La scommessa di Silvio - in realtà - è quella di ottenere sì una «grande maggioranza», ma di raggiungere i voti utili per rimanere in sella facendo credere di essersi reso autonomo dai futuristi. Un gioco d’azzardo, mediatico prima che reale, che lo spingead inseguire il possibile e l’impossibile. E il Cavaliere, ieri, ha provato a separare anche Casini dai suoi Udc. A proposito dei centristi, infatti, si è augurato che «molti dei loro eletti» possano «votare in dissenso con il loro leader» per «non far mancare loro appoggio al nostro governo». E Berlusconi non può credere che «alcun partiti» - l’Udc - «possano continuare a non scegliere» o «a mettersi in una altra formazione - il cosiddetto terzo polo - che non avrebbe alcuna possibilità» di concorrere alla guida del Paese. Campagna acquisti alla luce del sole, quindi, in vista del 28 settembre. «Non ci interessa l’aggiungi un posto a tavola - replica Casini - Non siamo ai saldi di fine stagione. Berlusconi si dimetta ». VIA I MASCALZONI, MA... MaSilviononsi cura delle prevedibili reazioni al suo intervento. I ragazzi in maglietta verde della Meloni sciorinano domande - premessa obbligata per tutti le meravigliose realizzazioni del governo - e Berlusconi risponde. In Italia, per esempio, non c’è una nuova Tangentopoli e quanto al Pdl «abbiamo individuato i mascalzoni e li abbiamo cacciati». L’incandidabilità per chi ha avuto problemi con la giustizia? «Sono assolutamente d’accordo, ma il giudizio non lo dia una certa magistratura, ma un organo interno al nostro partito ». Al di là delle intercettazioni che non sono «da paese civile» e della mafia «che verrà sconfitta in tre anni », Silvio non perde occasione per lodarsi. «Con la Lega siamo oltre il 50%- ripete - I miei consensi sono al 60%». La ricetta per rinnovare il Pdl?Un«team» in ogni distretto elettorale per diffondere - tra l’altro - il libro «sui mali del comunismo» e «largo a giovani e donne». Alla fine una storiella sulla Thatcher che «mi sconsigliava di leggere i giornali» e il numero di telefono chiesto alla ragazza che gli propone il gioco dellat- Torre. Tra una vacanza in barca con D’Alema o in una villa di Montecarlo - chiara l’allusione a Fini - chi sceglie Berlusconi? «Pensavo di avervi divertito - risponde - vedo che mi volete male».

sabato 11 settembre 2010

Berlusconi dagli amici russi

Berlusconi dagli amici russi.

D’Alema: show vergognoso. Spero che vada via al più presto

L’imbarazzo della platea. Per uno «show» fuori programma. Berlusconi «ha abusato di una sede internazionale, denuncia l’ex ministro degli Esteri, tra i partecipanti al Forum di Yaroslavl. In serata cena d’affari con Putin...

Una tribuna internazionale usata per un «comizio» elettorale. Imbarazzo, sconcerto, nella platea. Il Cavaliere tracima a Mosca. Pensa di giocare in casa, grazie alla sbandierata amicizia con «Vladimir» (Putin) » e «Dmitri» (Medvedev). Ad ascoltarlo, in platea, c’è anche MassimoD’Alema, tra gli oratori al Forum di Yaroslavl. L’ex ministro degli Esteri ascolta il «comizio» del Cavaliere dalla terza fila scuotendo più volte la testa. «È grave e vergognoso che un capo del governo si esprima sul carattere democratico dei partiti del suo Paese: ha spiegato che lui è intervenuto per evitare che il suo Paese cadesse nelle mani dei comunisti, che erano antidemocratici», commenta D'Alema, riferendosi al passaggio del discorso di Berlusconi in cui ha giustificato la sua discesa in politica per fronteggiare il rischio dell' ascesa al potere dei comunisti dopo Mani Pulite.

IMBARAZZO E SCONCERTO

«È grave - rimarca D’Alema - che si usi una sede internazionale per criticare la magistratura italiana, raccontando delle bugie sulle sue vicende giudiziarie che sono molto più complicate di come ha raccontato alla platea». «Trovo inoltre vergognoso -aggiunge - che il capo del Governo venga a Yaroslavl per lanciare frecciate ai suoi alleati. Nonc'è alcun Paese Paese civile al mondo dove accadono queste cose. Spero che un capo di Governo di questo genere se ne vada al più presto per il prestigio del nostro Paese». Bisogna capire «quale è il modello democratico di Berlusconi, l'esaltazione fatta di Putin ci fa pensare siaun modello molto particolare ».

IL CAVALIERE ESPANSO

Ai giornalisti italiani, D’Alema riferisce che l’intervento di Berlusconi ha suscitato «un palpabile imbarazzo» nella platea di oltre 500 politici ed esperti di 20 Paesi, «intellettuali e studiosi occidentali che conoscono benissimo le cose». «Io l'ho percepito - sottolinea - anche l'applauso finale è stato freddo e burocratico». «Ha raccontato - insiste l’ex titolare della Farnesina - delle bugie sulle sue vicende giudiziarie, che sono molto più complicate di come le ha raccontate». «Avrebbe fatto meglio a leggere il testo che gli avevano preparato i suoi collaboratori, avremmo risparmiato una figura imbarazzante per il nostro Paese », aggiunge D’Alema , riferendosi al fatto che il premier ha rinunciato alla relazione scritta «perché fuori tema: era stato mal informato sul tema del Forum». Per il resto, l’intervento del Cavaliere è una imbarazzante autocelebrazione.

E aperture di credito altrettanto imbarazzanti. Putin e Medvedev esempi di democrazia. Anzi un vero e proprio «dono del signore » per il popolo russo.Neè convinto Berlusconi, che nelle «lunghe conversazioni» avute con Putin «non è mai stato colto dal dubbio che in lui ci fosse una volontà meno che democratica». Poi uno scampolo di verità: l'Italia e la Russia sono unite da «stima e amicizia. Ma anche gli scambi economici ci uniscono», riconosce il presidente del Consiglio, che ha fatto della «diplomazia degli affari» il fulcro della sua politica estera. «Siete il primo fornitore di gas, importanti anche per il petrolio. Sono rapporti che ci hanno consentito di essere vicini in molte situazioni internazionali, come quando venne offerto a Ucraina e Georgia di entrare nella Nato e voi vi siete opposti comprensibilmente. Viaggiamo bene insieme, siamo due Paesi che ragionano nella stessa prospettiva », s’infiamma il Cavaliere. Poi un’altra botta di autoesaltazione: nel 2002, a Pratica di Mare, azzarda Berlusconi, «scrissi personalmente » un accordo che prevedeva la «collaborazione» tra Russia e Alleanza Atlantica contro il «terrorismo, la pirateria internazionale, il traffico di droga». Nel tardo pomeriggio, Berlusconi parte da Yaroslavl per Mosca dopo un rinfresco a bordo di un battello sul Volga con il leader del Cremlino, Medvedev, e il presidente sudcoreano Lee Myung-bak. In serata appuntamento con il premier russo, l’«amico Vladimir», nella sua dacia di Novi Ogariovo. Una cena di affari. In cui - anticipa il portavoce di Putin, Dmitri Peskov - si parlerà di «rapporti bilaterali, scambio commerciale e investimenti».

Nota a margine dell’IDV:

«La prossima volta andrà in ginocchio da Ahmadinejad»

GENUFLESSIONI «DopoGhedaffi e Putin il prossimo leader intarnazionale a cui si genufletterà il premier dell’Italia sarà Mahmud Ahmadinejad? La politica estera del governo sta prendendo una pericolosa deriva». Lo ha affermato in una nota il portavoce dell`Italia dei Valori, Leoluca Orlando. «Berlusconi bacia le mani al leader libico che tortura i rifugiati. Pochi giorni dopo va a trovare il poco democratico Putin - continua Orlando -. Perché Berlusconi, invece di attentare alla Costituzione attaccando la magistratura pure in terra straniera, non chiede al suo amico chi ha ucciso la giornalista Politoskaia e a che punto sono le indagini?».

giovedì 9 settembre 2010

Sakineh violenza ancestrale

Diamo voce a Shukri Said , Portavoce dell’Associazione Migrare.

La lapidazione, esclusa dal Corano, era prevista dalla Bibbia fino al fatto dell’adultera con Gesù Ora una battaglia contro le violenze alle donne


La lapidazione per adulterio e concorso in omicidio minacciata a Sakineh non è medievale, è ancestrale.

Escluso che sia comminata nel Corano, che non la prevede mai, essa è invece prevista dalla Bibbia per il caso di adulterio (Deuteronomio 22: 22, 23). Il Deuteronomio risale al VI-V secolo a. C., ma Cristiani ed Ebrei hanno abbandonato tale pratica duemila anni fa quando, come riporta il Vangelo (Giovanni 8, 1-11), scribi e farisei portarono a Gesù una donna colta in flagrante adulterio interrogandolo sulla lapidazione prescritta da Mosè. E Gesù, con la famosa frase «Chi è senza peccato scagli la prima pietra», impose l’abbandono della feroce pratica.

Né Maometto, l’ultimo dei profeti, avrebbe voluto ripristinare una così barbara sanzione tanto limpidamente eliminata dal “suo” predecessore Gesù. In effetti la lapidazione per adulterio fu introdotta nell’Islam con un Hadith di Omar, successore di Maometto (Hadith Sahih Muslim vol. 3, libro 17, n. 4206) e non appartiene all’esperienza diretta del Profeta narrata nel Corano, l’unica da osservare, dove si prevedono (Sura 24, 2-3, “La Luce”) “solo” 100 frustate per l’adulterio conclamato da quattro testimoni, maschi e attendibili, che dichiarino di aver assistito alla penetrazione. Il che equivale alla punizione, non dell’adulterio in sé, bensì dell’oltraggio al pudore (previsto come reato anche in Italia) suscettibile di scuotere, con lo scandalo che ne consegue, le regole di una sana comunità.

Infatti, la sanzione è eseguita dalla folla in un rito di espiazione dell’affronto subito dalla collettività. Invece rimane senza conseguenze l’adulterio “privato” in cui, al marito che accusa con apposita formula coranica, può rispondere pariteticamente la moglie discolpandosi mediante il ribaltamento della medesima formula pronunciata dal marito. È’ inammissibile che nel terzo millennio siano considerati interlocutori della collettività internazionale paesi che ammettono ancora la lapidazione. Invece il mondo reagisce a questa barbarie di regime solo quando si lega a un nome. Salviamo Sakineh oggi come quando salvammo la nigeriana Amina Lawal nel 2003.

Queste reazioni internazionali, oltre che a salvare la vittima, mirano anche a sollevare dai sensi di colpa per il silenzio sui casi trascurati ma sicuramente esistenti. Perché chi deve impegnarsi per la salvezza della donna oppressa dai regimi canaglia, sono i governi di quei paesi dove l’opinione pubblica si mobilita e che di volta in volta si cimentano in compromessi per accontentare i loro elettori. Viene così l’idea che il nome della vittima trapeli in occidente non tanto per l’abilità informatica o informativa di qualche dissidente, quanto per la volontà del regime che della più efferata nefandezza permette il diffondersi della notizia proprio per conquistare il compromesso di cui ha bisogno.

Il caso di Sakineh è la dimostrazione di questo metodo adottato dal regime iraniano per uscire dall’isolamento diplomatico conseguente alla scelta nucleare. È trapelata la sua condanna alla lapidazione per un reato di adulterio che, in occidente, non dà neppure più luogo alla separazione con addebito e, al movimento d’opinione sollevatosi contro il supplizio, si è risposto con una ulteriore condanna a 99 frustate per l’inconcepibile delitto di aver mostrato i capelli in una foto che, addirittura, non riproduceva neppure Sakineh.

È questo un chiaro pretesto del regime iraniano per rimanere al centro dell’attenzione di quella comunità internazionale che sarebbe veramente ora che si svegliasse. La battaglia per i diritti umani non si fa saltuariamente. Per una Sakineh di cui traspare la triste storia, ci sono nel mondo tante altre donne, troppe, che anonimamente subiscono violenze e torture intollerabili. La violenza di tanti regimi è così antica e feroce che, anche per difendersene, le donne hanno mantenuto ei secoli le loro mutilazioni genitali, cioè la rinuncia alla sessualità.

Non possiamo convincerle ad abbandonare definitivamente quelle pratiche se non combattiamo i regimi che infieriscono sulle donne tutte le volte che si affaccia il loro diritto alla femminilità. Se la democrazia non può essere esportata, come esperienze ancora in corso dimostrano, il suo seme può tuttavia essere piantato, ma va tenacemente coltivato. Vogliamo che la battaglia per Sakineh sia l’ultima con un nome e che si apra finalmente la guerra alla violenza sulle donne ovunque, perché quella sulle donne è violenza capace di tutto e buona a nulla. Da estromettere dal Pianeta Terra con un formidabile rigurgito di dignità internazionale e non con intermittenti singhiozzi.