mercoledì 29 settembre 2010

Intervista a Miriam Lamizana

«Quando le mutilazioni ai genitali si annunciavano via radio»

La presidente del Comitato interafricano contro l’escissione dei genitali
femminili: «Una risoluzione delle Nazioni Unite può aiutare le donne»

Miriam Lamizana ricorda ancora quando in Ciad si usava annunciare via radio la mutilazione sessuale delle proprie figlie. «Era una grande festa. Fuori c’era gente che ballava e cantava, dentro si sentivano gli strilli delle ragazzine. Se accadesse ora, se qualcuno provasse ora a dare un simile annuncio per radio, beh credo proprio che arriverebbe la polizia». Miriam Lamizana, già ministro degli Affari sociali del Burkina Faso, è presidente del Comitato interafricano contro le mutilazioni genitali femminili, in questi giorni aRomadopo essere stata aNewYork per sostenere l’approvazione di una risoluzione Onu contro questa pratica che ha sfregiato 150 milioni di donne nel mondo. In Italia ha trovato una sponda nell’associazione «Non c’è pace senza giustizia», che con Emma Bonino e il ministero degli Esteri sostiene la campagna perché si arrivi ad una risoluzione delle Nazioni Unite. «Sarebbe il coronamento di tutto il lavoro fatto in questi decenni e lo strumento per andare avanti», dice Miriam. Il «lavoro» di cui parla è quello che oggi le consente di ridere, quando racconta degli annunci alla radio del Ciad. «Se lo immagina lei, un annuncio per dire: venite tutti alla mutilazione di mia figlia? ». Perché non importa che sia parziale, non importa che il taglio preveda o meno l’amputazione completa dei genitali esterni. Non importa se sia infibulazione o escissione, o come la si voglia chiamare. Quello che è in gioco è il diritto delle donne a veder rispettata l’integrità del proprio corpo, undirittoumano, questo dice la bozza di risoluzione.
Come è nata questa campagna?

«All’inizio è stata soprattutto l’iniziativa di singoli attivisti, che sono riusciti nel tempo ad allargare la loro presa fino a coinvolgere i governi e istituzioni internazionali. Se proprio vogliamo indicare una data, è il decennio che parte dal 1975, quando si sono moltiplicate le iniziative contro la violenza sulle donne. Nel 1984è nato il Comitato interafricano, che ha deciso di creare una propria struttura in ognuno dei 28Paesi in cui si praticava l’escissione, in gran parte paesi dell’Africa occidentale e specialmente sub-sahariana, oltre al Corno d’Africa».
Una risoluzione Onu può cambiare davvero il ricorso ad una pratica che spesso è già vietata?
«Bisogna capire che noi lavoriamo per tappe. Abbiamo cominciato a livello nazionale, per vedere quali fossero gli ostacoli. Abbiamo fatto un’azione di sensibilizzazione, cominciando a parlare dei problemi che l’escissione provoca per la salute delladonna e del bambino. Poi abbiamo cominciato a ragionare sull’educazione e sull’autonomia economica delle donne: sono tutti aspetti dello stesso problema. Ci sono resistenze socio-culturali che non si possono rimuovere dall’oggi al domani.Macon l’azione dal basso abbiamo spinto il governo a prendere coscienza del problema e a riconoscere le associazioni che vi si dedicavano. Poi siamo passati su una scala regionale. Con la ratifica nel2005 del protocollo di Maputo, che vieta tra l’altro le mutilazioni genitali femminili siamo riuscite a fare un altro passo: il protocollo ha spinto molti Paesi che non l’avevano a dotarsi di una legge specifica a questo proprosito. Oggi gli Stati che vietano l’escissione sono diventati 15 su 28, prima erano otto o nove. Per questo credo che la risoluzione Onu avrebbe un grande valore politico, perché spingerebbe i governi ad assumerepolitichesempre più chiare e decise sulle mutilazioni genitali. E c’è poi un altro punto: servirebbe ad innescare la solidarietà di quei Paesi dove questa pratica non esiste, che potrebbero però dare un aiuto».
Che tipo di risposta avete trovato nei Paesi africani? Che cosa è cambiato?
«Il cambiamento si vede soprattutto nelle nuove generazioni. Nelmio Paese, per esempio, la percentuale dimutilazioni inflitte alle bambine è scesa dal 75 al 38%, con un processo cominciato dagli anni ‘70. In tutto questo tempo è caduto un tabù, che in Africa è molto forte quando si fa riferimento al sesso, e si è cominciato a parlare dell’escissione come di un problema, quanto meno di salute se non di diritti umani. C’è stata una presa di coscienza. In Mauritania, per esempio, i leader religiosi hannoemessouna fatwa contro le mutilazioni genitali. Ci sono programmi statali di informazione, che si preoccupano anche di trovare un lavoro alternativo alle donne che fino a questo momento hanno praticato l’escissione. Bisogna procedere per gradi,mail segno del cambiamento c’è».
Come riuscite a convincere le comunità locali, dove si esercita materialmente la pressione sulle donne, a cambiare atteggiamento?
«Il mezzo principale è l’informazione. Cominciamo con le ostetriche. Una volta durante il parto si preoccupavano di riaprire le donne escisse, per far nascere il bambino, ma non dicevano nulla. Oggi invece spiegano alla nuova madre e alla sua famiglia perché devono procedere in questo modo, spiegano il dannoprodotto dall’escissione e i rischi che comporta. Vengonoaffrontati anche problemi sessuali. Spesso capita infatti che la mutilazione dei genitali esterni, soprattutto quando è praticata in bambine molto piccole, cicatrizzi quasi completamente rendendo impossibile il rapporto sessuale. Facciamo vedere foto, video o manichini. E mostrare che cosa sia davvero un’escissione è molto più efficace di tante parole».
L’escissione è stata spesso considerata una cerimonia di iniziazione. Come si supera questo scoglio?
«Questo è sempre meno vero. L’introduzioni di leggi che la vietano, ha spinto a ricorrere a questa pratica in clandestinità, anticipando molto i tempi. Quando arriva il momento della cerimonia di iniziazione all’età adultà, le ragazze hanno spesso già subito la mutilazione. Le due cose quindi si sono separate. Noi cerchiamo di conservare la festa e cancellare il danno».
In Africa c’è una crescente presenza politica della donne. È questo che ha fatto la differenza?
«Potrei dire che è vero il contrario. C’è stata la generazione nata negli anni 50 che è stata molto attiva a livello di base, anche sul tema delle mutilazioni genitali, eda questa generazione sono emerse figure politiche. Ma è un processo che è cominciato dal basso, non viceversa».

lunedì 27 settembre 2010

Intel, processori e soluzioni per governare ogni congegno.

Per una società in cattive acque cercare di cambiare pelle è un fatto abbastanza naturale. Ben diverso il discorso se a farlo è un’azienda con il vento in poppa da molti anni, come indubbiamente Intel, leader nel settore dei processori. «Ma la nostra forza, in un mondo in velocissima evoluzione come quello dell’informatica e della tecnologia, deve anche essere quella di prevedere e governare i cambiamenti. E i cambiamenti importanti di questi tempi nonmancano proprio...». A parlare è Dario Bucci, che di Intel amministra la filiale italiana, a pochi giorni di distanza dalla conclusione dell’IDF di San Francisco, l’evento annuale dove il colosso dei chip annuncia le sue più importanti novità. «Stiamo entrando in unafase dove i computer, siano essi desktop o portatili, non saranno più gli unici protagonisti. Andiamo verso un futuro nel quale ci sarà una miriade di dispositivi connessi ad Internet, soprattutto in mobilità e quindi senza fili. Per il 2020, ad esempio, stimiamoche saranno 31miliardi gli apparecchi connessi al Web nel mondo, utilizzati da 4 miliardi di persone. Ecco, è in un mondo del genere che Intel vuole mantenere la sua leadership ». Il che comporta già da adesso, appunto, una mutazione nelle strategie e nella realizzazione dei prodotti. «Il nostro obiettivo - spiega Bucci - si sintetizza nel concetto di “Continuum Computing”, che poi significa fornire agli utenti una continuità d’architettura nei nostri prodotti, indipendentemente dal tipo d’apparecchio nel quale sono collocati, sia esso un pc, un tablet piuttosto che un televisore». E con queste premesse, continuare a parlare di Intel come di un produttore di processori, è riduttivo: «Da molto tempo l’azienda è leader mondiale nella produzione di semiconduttori, e nello sviluppo della relative tecnologie, che poi sono il “cuore” di centinaia di milioni di computer. Ma per estendere il nostro primato ad una tipologia di apparecchi più ampia occorre sviluppare altri elementi.Ne individuo tre: l’efficienza energetica dei chip, la connettività Wi-Fi sempre più performante e la sicurezza». Quello della sicurezza è un elemento che potrebbe sembrare non così vicino ad Intel, ed invece l’azienda ha acquistato pochi mesi fa un gigante del settore quale McAfee. «In realtà - dice Bucci - operare una distinzione secca fra aziende che si occupano di hardware e quelle del software avrà sempre meno senso. Riallacciandoni a quanto detto, i nostri prodotti rappresenteranno sempre più delle versatili soluzioni di computing, ed in quanto tali dovranno incorporare anche degli elementi software. Questo però non significa che ci trasformeremo in un’azienda che vende direttamente dei programmi agli utenti, non a caso abbiamo deciso di lasciare operare McAfee in autonomia, senza trasformarla in una divisione di Intel». Soluzioni di computing che comunque manterranno i circuiti di silicio, sempre più potenti ed efficienti, al centro di tutto. In quest’ambito Intel ha mostrato all’IDF la gamma aggiornata delle sue proposte. «Siamo pronti ad immettere sul mercato la famiglia di processori Intel Core di seconda generazione. I chip (nome in codice “Sandy Bridge”, ndr) sono basati sulla nuova microarchitettura Intel a 32 nanometri utilizzando transistor a loro volta di nuova generazione. Del resto, nella nostra “road map” è prevista la ciclica introduzione di microarchitetture realizzate con un numero sempre minore di nanometri. E questo ci permetterà di esportare le nostre soluzioni in dispositivi sempre più piccoli, ad esempio gli smartphone». Altra importante innovazione, la concentrazione nel medesimo “pezzo” di silicio delle funzioni grafiche: «I nuovi Core i3, i5, i7, svolgeranno da soli il lavoro grafico che prima necessitava di una scheda video installata all’interno di un computer. Un risparmio in termini di costo ma non solo; infatti, aumenterà in modo notevole l’efficienza di alcune operazioni sempre più richieste dagli utenti, comela conversione inunaltro formato video dei filmati acquisiti con il pc, ad esempio quelli realizzati con una videocamera».

sabato 25 settembre 2010

Berlusconi,Fini e la "casa" del cognato Tulliani

Allego una vignetta di Staino,che ci spiega tutto con una sintesi folgorante :-)

venerdì 24 settembre 2010

Il miracolo dell'immondizia napoletana

L’immondizia ha già raggiunto le 700 tonnellate, rapidamente potrebbero raddoppiare. E’ questo l’ultimo bilancio della spazzatura a Napoli, uno dei “miracoli” del governo Berlusconi - ci lavorò parecchio in campagna elettorale, come ricorderete. Solo l’ultimo miracolo in ordine di tempo, il penultimo essendo la ricostruzione dell’Aquila, mai neppure progettata né pensata. Ma questa immondizia - quella di cui parliamo e che documentiamo nel giornale di oggi - per lo meno, è quantificabile. L’altra spazzatura, quella romana, non presenta nemmeno questo vantaggio. Occupa meno spazio, è meno voluminosama emana miasmi insopportabili. Una fogna a cielo aperto che ci sta avvelenando tutti. Avvelena prima di tutto la maggioranza di governo: siamo ben oltre i sospetti. Siamo ad accuse che, in paesi più fortunati, molto raramente vengono lanciate tra parti avverse. Da noi succede tra alleati. In due parole: i finiani accusano il presidente del Consiglio di aver ordinato il confezionamento di dossier falsi e infamanti contro il presidente della Camera. Non sarebbe la prima volta, del resto. Da anni l’uomo che siede a Palazzo chigi è terminale e smistatore di informazioni confidenziali contenute in nastri, pennette, dossier come questo giornale ha documentato per primo, per esempio, a proposito del nastro di Natale su Fassino. Oggi i finiani affermano di aver individuato il “confezionatore”. Ne forniscono un identikit: «Una persona molto vicina al premier che ha girato per il Sudamerica». Curioso: se non fosse ormai troppo anziano avremmo riconosciuto in questa descrizione uno dei primi maestri e mentori di Silvio Berlusconi. Licio Gelli. Si tratta invece di un giovanotto, al cospetto degli ottantenni protagonisti di questa storia: un uomo di fatica esecutore materiale di ordini altrui. Leggete in cronaca. Nell’intervista esclusiva a Umberto de Giovannangeli Massimo D’Alema, presidente dell’organismo parlamentare di controllo dei nostri servizi segreti, afferma la necessità di attivare tutti gli organismi di vigilanza e aggiunge due concetti: che le responsabilità politiche sono evidenti, e che «sono in corso attività vergognose di dossieraggio». Lo dice da responsabile del Copasir: è qualcosa di più di un’opinione, è un’accusa gravissima. Anche in questo caso in un paese normale si fermerebbero le macchine. Qui: nulla. Qui succede che giornalisti stipendiati dal premier che scrivono su giornali per i quali la sottosegretaria Daniela Santanchè procaccia milioni e milioni di pubblicità siano sospettati - qualcosa di più, secondo D’Alema - di confezionare articoli con il favore di amici compiacenti - in Italia e all’estero - allo scopo di eliminare l’avversario politico. Una storiaccia delle più nauseanti. Non si capisce come Fini e i suoi parlamentari possano ancora pensare di sostenere un governo che - oggettivamente, se non direttamente - ordisce questo tipo di trame. Questo è il paese. Una situazione tragica per le istituzioni che chiama l’opposizione all’unità e alla mobilitazione. Conforta constatare che ieri, nella direzione del Pd, anche se con toni a volte duri, si è ritrovata la strada del confronto e del dialogo. Ecco, non abbandoniamola. Nessuno può più permetterselo.

mercoledì 22 settembre 2010

La strana energia di Tremonti

Le sparate del ministro sul nucleare.

Tremonti non vuole essere da meno di Berlusconi in fatto di disinformazione. Lo ha dimostrato sulla crisi finanziaria, da lui prima smentita poi paventata e ora riproposta a corrente alternata. Lo ho confermato, in maniera ancora più imbarazzante, parlando di energia all’iniziativa del Pdl di Cortina d’Ampezzo. Riporto integralmente il “Tremonti pensiero”: «Un punto che ci penalizza è quello del nucleare: noi importiamo energia. Mentre tutti gli altri Paesi stanno investendo sul nucleare noi facciamocomequelli che si nutronomangiando caviale, non è possibile.Nondobbiamo credere a quelli che raccontano le balle dei mulini a vento, le balle dell’eolico, vi siete mai chiesti perchè in Italia non ci sono i mulini a vento? Quello dell’eolico è un business ideato da organizzazioni corrotte che vogliono speculare e di cui noi non abbiamo certo la quota di maggioranza ». Come al solito, un misto di parziali verità condito con realtà ignorate, populismo e allusioni. È vero che l’Italia importa elettricità dalla Francia,mail ministro dimentica di dire come e perché. Le centrali nucleari francesi non si possono spegnere e continuano a produrre energia elettrica anche di notte quando c’è menorichiesta. Per questo i francesi sono costretti a svenderla all’Italia che può comprarla a prezzi stracciati. Al contrario la Francia non ha sufficiente elettricità per coprire il suo alto fabbisogno di giorno, al picco della richiesta, ed è costretta a importarla proprio dall’Italia che ha un eccesso di capacità produttiva di energia elettrica. Come è ben noto (Le Monde, 17 novembre) è più la quantità di energia elettrica che la Francia importa di giorno di quella che esporta di notte. Come si vede mezze verità condite da una colossale bugia: l’Italia ha un eccesso di capacità produttiva e non ha bisogno di nuove centrali, tantomeno nucleari. Sull’accusa di malaffare abilmente gettata contro le fonti rinnovabili il ministro dovrebbe sapere che sono i grandi appalti e la scarsa trasparenza ad attirare il rischio di corruzione e di infiltrazioni di organizzazioni criminali. Basta l’esempio della “protezione Civile SpA”, di cui Tremonti e il suo governo hanno la “quota di maggioranza”. Infine, il nuovo Tremonti europeista non può certo ignorare che lo sforzo verso l’efficienza energetica (consumi più efficienti e non più centrali) e l’uso delle fonti rinnovabili sono indicazioni che vengono dall’Europa che ha stabilito l’obiettivo di ridurre il fabbisogno del 20% e di aumentare, contemporaneamente, del 20% la quota di energia prodotta con fonti alternative ai combustibili fossili e al nucleare.Masi sa, per diventare premier occorre superare il maestro! Mi sembra che Tremonti ci stia riuscendo almeno per quanto concerne la demagogia e la superficialità.

Colonizzati dal raìs

Da Eni a Impregilo

la fiera degli ipocriti

Dietro le pressioni a dimissionare Profumo non si può proprio dire che ci sia l’orgoglio di una classe politica e imprenditoriale. Erano in 800 a Roma per Gheddafi


Alla «cena degli 800» era presente il gotha dell’economia e della finanza del Belpaese. Tutti in fila per rendere omaggio al Colonnello munifico. E agli agognati fondi libici.A genuflettersi erano in molti. A cominciare dal Cavaliere, l’artefice primo di quella «diplomazia degli affari» che ha portato l’Italia berlusconiana a sdoganare alcuni tra i peggiori dittatori al mondo.Per questo è solo cattiva propaganda, e pessimo giornalismo, interpretare il siluramento di Alessandro Profumo come il gesto d’orgoglio di un potere politico, e finanziario, che rifiuta di assecondare le mire espansioniste del Rais di Tripoli. Perché se così fosse, a dover essere «dimissionati» sarebbero in molti. Un esercito. Dall'Eni a Finmeccanica, fino ai grandi costruttori, tra tutti Impregilo e Italcementi, impegnati nell'opera di infrastrutturazione della ex colonia italiana, a partire dai 1700km della nuova «superstrada» Rass Ajdir-Imsaad, la cui realizzazione sarà affidata a imprese italiane. L’asse degli affari Tripoli-Roma è molteplice. A cominciare dalle Banche. È questo il settore più recente, ma che ha fatto molto discutere, sul quale la Libia ha messo gli occhi e anche molti soldi. La Libyan Investments Autorithy (Lia), il braccio finanziario di Gheddafi nato con lo scopo di gestire i proventi del petrolio, ha portato la propria partecipazione in Unicredit al 2,59%, facendo così lievitare l'intera compagine libica oltre il 7,5%, visto che la Banca Centrale Libica e la Libyan Arab Foreign Bank sono insieme titolari del 4,98%: con quest'operazione i libici sono diventati il primo socio della banca, superando anche gli Aabar di Abu Dhabi. DalleBanchealle Tv. La Laftitrade, finanziaria del Colonnello, e la Fininvest sono presenti con quote rispettivamente del 10% e del 22% nel capitale della società di produzione e distribuzione cinematografica Quinta Communications, fondata da Tarak Ben Ammar. Per non parlare delle Costruzioni. La «voce» più importante è quella relativa all'Autostrada sulla costa mediterranea della Libia: il Trattato di amicizia tra i due Paesi prevede che Roma versi a Tripoli cinque miliardi di dollari per la realizzazione dell'opera alla quale, parteciperanno imprese italiane: la fase di prequalifica è conclusa e sono interessate21aziende del nostro Paese. Sempre nel settore,c'è da registrare che la Lybian Development Investment Co si è associata con Impregilo nella Impregilo Lidco. Finmeccanica. La Lybia Africa Investment Portfolio ha avviato unanuova joint venture con la holding italiana (dopo la Liatec, Libyan Italian Advanced Tecnology Company, costituita nel 2006 per realizzare elicotteri). Il consorzio formato da Ansaldo Sts e Selex Communications ha firmato con Zarubezhstroytechnology, società controllata dalle Ferrovie Russe Jsc Rzd, un contratto da247 milioni di euro per realizzare sistemi di segnalamento, alimentazione e comunicazione sulla tratta da Sirte a Bengasi.

lunedì 13 settembre 2010

Pescherecci e prostituti

«Oggi potremo parlare di molte cose; della scuola zeppa di simboli leghisti ad Adro per esempio, e qualcuno potrebbe replicare che se questo servisse loro ad imparare a leggere e scrivere potremo anche tollerarla.»

Ma preferisco dirottare la nostra attenzione sulla motonave crivellata di colpi.


Siamo ancora capaci di trovare grottesca la nostra privata tragedia pubblica? Vediamo, facciamo un test. L’amico libico, il caro colonnello, ci spara addosso ad altezza d’uomo. Ci spara non per intimidire: per ammazzare. Non lui personalmente, certo. I suoi. Bisogna immaginare la scena. Si incrociano al largo di Mazara del Vallo due imbarcazioni, entrambe italiane. Una è un peschereccio in giro per ispezione, a bordo c’è anche - tra gli altri - un ufficiale della Guardia di Finanza. L’altra è una motovedetta che Silvio B. ha da poco regalato all’amico Gheddafi in “segno di amicizia”, non ridete che c’è poco da ridere. Dunque, una volta donata, la motovedetta italiana è ora libica. Quest’ultima intima l’alt al peschereccio. Lo fa, per la precisione, un tipo che - riferiscono i testimoni - parla un italiano perfetto (è andato in regalo al colonnello insieme al natante?) e che dice «se non vi fermate questi vi sparano», segnalando con “questi” la sua estraneità al resto dell’equipaggio. Si immagina la rapida consultazione fra il comandante del peschereccio e l’ufficiale della barca minacciata. Decidono di aprire al massimo i motori e di far rotta verso Lampedusa, evidentemente non confidando nel fatto che “questi” siano al corrente del patto di amicizia italo-libico con seguito di circo barnum, studentesse di corano a pagamento e tentativo di comprare le sorgenti dell’acqua Fiuggi da parte del despota. Di seguito la motovedetta appena regalata in segno di fratellanza spara raffiche di mitra che colpiscono la cabina, uomini a terra, proiettili che forano ogni cosa, terrore, fuga. Salvi per miracolo. Per molto meno si sono scatenate guerre. Ora però: come si fa a dichiarare guerra all’amico libico, all’uomo a cui si bacia la mano, al socio in affari con cui si tratta di gas, di tv, di banche? Così il povero Frattini è costretto dopo ore di angoscioso silenzio a dire che “sparavano in aria”, sfidando l’evidenza delle foto che mostrano i fori dei proiettili, la cabina di pilotaggio un colabrodo. Ma che volete che sia la realtà, una cosa da nulla. Attendiamo disposizioni perché gli ufficiali della GdF restino a terra. Finchè sono i pescatori a morire pazienza. Quando tocca a un ufficiale diventa un problema. Vedrete che staranno a casa. Quadro numero due. La nuova star dell’empireo berlusconiano - consuma le sue stelle come benzina per motoscafi, vediamo questa quanto dura alla prova autunnale delle risse in tv - fa di nome Stracquadanio: è quello di “riserveremo a Fini il metodo Boffo”, uno che non controlla benissimo gli impulsima non si può chieder tutto a un politico, il successo di Bossi gli dà in fondo ragione. Dunque Stracquadanio ha detto ieri con grande tranquillità che non vede niente di male nel fatto che ci si prostituisca per arrivare al successo e al potere. «Una fa del suo corpo quello che crede». Una, e anche uno. Del corpo e della testa, evidentemente. La vera novità dell’ultima stagione politica è la prostituzione maschile, quella dei cervelli all’ammasso in cambio di denaro. Sempre che ci sia il cervello, naturalmente. Se no si tratta di donazione spontanea. Suggerirei a Silvio B. di accersene caso per caso, perchè in assenza di scambio non deve nemmeno pagare. Potrebbe risparmiare.

Berlusconi fa il gagà e tenta i centristi.Ma senza Casini

Le signore fanno «la fila» per fidanzarsi con lui perché «leggenda vuole » che «ci sappia fare» a letto. Aspirano all’eredità, naturalmente: l’età è quella che èmala «grana» fa gola a tutte. E se molti ragazzotti non trovano lavoro in Italia Silvio dà qualche consiglio. Non vogliono saperne di una delle sue figlie ancora «libera»? Vadano all’estero, allora, a fare un po’ di esperienza. Le ragazze pensino a cercarsi un marito «ricco» e i maschi facciano altrettanto. Non nel senso di «maritarsi» tra loro, «non equivochiamo », se la ride il Cavaliere. «Vedo già i titoli dei giornali: “Berlusconi è gay”». Servono «ragazzi belli ma anche intelligenti», corregge Giorgia Meloni che cerca invano di contenere il premier balbettando qualcosa di politicamente corretto. Ma il «fiume in piena» - così lo definisce il ministro della gioventù in una delle rare occasione in cui riesce a proferire verbo - è incontenibile. Ad ogni domanda risponde con un comizio. Poi, però, quando s’avvicina l’ora di pranzo, il Cavaliere tradisce una certa impazienza e si fa paladino della platea bersagliata dal sole e dal caldo, con l’evidente raccomandazione di stringere i tempi del dibattito. Dopolo show di Mosca, quello del Celio per la festa di settembre dei giovani di An approdati nel Pdl. Dalla fusione è nata la «Giovane Italia» guidata dalla Meloni. Fischi per Fini e applausi per il premier, in questa domenica mattina a due passi dal Colosseo. Per i giovani di Atreju Berlusconi è un mito. I maxi schermi rimandano volti di ragazzi che ascoltano partecipi e attenti. Silvio li ricambia con le solite barzellette, perché bisogna «diffidare da chi non ride mai». «Alzi la manochi non conosce quella su Hitler. Nessuno? Allora la racconto...». Aveva avviato il suo comizio-dibattito con una lunga tirata sui mali del comunismo e adesso inneggia alla par condicio. «Bene - commenta - Abbiamo sistemato anche il nazismo». CERCA LA GRANDE MAGGIORANZA La politica, a questo punto. «Speriamo di fare meglio del Milan e della Roma - ammicca Berlusconi, alludendo alla crisi del suo governo - masì che ce la facciamo. Sicuramente ». Le elezioni anticipate? «Andremoal voto tra tre anni». Poi la risposta indiretta alla sfida di Fini sul suo intervento alla Camera del 28 settembre. «Abbiamo un programma, i cinque punti che porteremo in Parlamento spiega Berlusconi - presenteremo una risoluzione che dovrà essere votata e vi dico che ci sarà una grande maggioranza». Silvio ostenta sicurezza: altro che 316 voti! Ce ne saranno molti di più a favore del governo. Il premier sa bene, però, che senza i finiani i suoi numeri ballano. E allora giù a far loro la corte, per farli divorziare da Fini. «Non ci sono state espulsionimasolo dei deferimenti di tre persone al collegio dei probiviri che ancora non si è riunito - afferma - Hanno pagatoun debito di riconoscenza verso chi li ha messi in lista facendoli eleggere (Fini, ndr.), ma non credo vogliano venir meno all’impegno preso con gli elettori. Ciascuno di loro sarà leale anche al simbolo del Pdl su cui è scritto Berlusconi». NELL’ORTO DI CASINI La scommessa di Silvio - in realtà - è quella di ottenere sì una «grande maggioranza», ma di raggiungere i voti utili per rimanere in sella facendo credere di essersi reso autonomo dai futuristi. Un gioco d’azzardo, mediatico prima che reale, che lo spingead inseguire il possibile e l’impossibile. E il Cavaliere, ieri, ha provato a separare anche Casini dai suoi Udc. A proposito dei centristi, infatti, si è augurato che «molti dei loro eletti» possano «votare in dissenso con il loro leader» per «non far mancare loro appoggio al nostro governo». E Berlusconi non può credere che «alcun partiti» - l’Udc - «possano continuare a non scegliere» o «a mettersi in una altra formazione - il cosiddetto terzo polo - che non avrebbe alcuna possibilità» di concorrere alla guida del Paese. Campagna acquisti alla luce del sole, quindi, in vista del 28 settembre. «Non ci interessa l’aggiungi un posto a tavola - replica Casini - Non siamo ai saldi di fine stagione. Berlusconi si dimetta ». VIA I MASCALZONI, MA... MaSilviononsi cura delle prevedibili reazioni al suo intervento. I ragazzi in maglietta verde della Meloni sciorinano domande - premessa obbligata per tutti le meravigliose realizzazioni del governo - e Berlusconi risponde. In Italia, per esempio, non c’è una nuova Tangentopoli e quanto al Pdl «abbiamo individuato i mascalzoni e li abbiamo cacciati». L’incandidabilità per chi ha avuto problemi con la giustizia? «Sono assolutamente d’accordo, ma il giudizio non lo dia una certa magistratura, ma un organo interno al nostro partito ». Al di là delle intercettazioni che non sono «da paese civile» e della mafia «che verrà sconfitta in tre anni », Silvio non perde occasione per lodarsi. «Con la Lega siamo oltre il 50%- ripete - I miei consensi sono al 60%». La ricetta per rinnovare il Pdl?Un«team» in ogni distretto elettorale per diffondere - tra l’altro - il libro «sui mali del comunismo» e «largo a giovani e donne». Alla fine una storiella sulla Thatcher che «mi sconsigliava di leggere i giornali» e il numero di telefono chiesto alla ragazza che gli propone il gioco dellat- Torre. Tra una vacanza in barca con D’Alema o in una villa di Montecarlo - chiara l’allusione a Fini - chi sceglie Berlusconi? «Pensavo di avervi divertito - risponde - vedo che mi volete male».

sabato 11 settembre 2010

Berlusconi dagli amici russi

Berlusconi dagli amici russi.

D’Alema: show vergognoso. Spero che vada via al più presto

L’imbarazzo della platea. Per uno «show» fuori programma. Berlusconi «ha abusato di una sede internazionale, denuncia l’ex ministro degli Esteri, tra i partecipanti al Forum di Yaroslavl. In serata cena d’affari con Putin...

Una tribuna internazionale usata per un «comizio» elettorale. Imbarazzo, sconcerto, nella platea. Il Cavaliere tracima a Mosca. Pensa di giocare in casa, grazie alla sbandierata amicizia con «Vladimir» (Putin) » e «Dmitri» (Medvedev). Ad ascoltarlo, in platea, c’è anche MassimoD’Alema, tra gli oratori al Forum di Yaroslavl. L’ex ministro degli Esteri ascolta il «comizio» del Cavaliere dalla terza fila scuotendo più volte la testa. «È grave e vergognoso che un capo del governo si esprima sul carattere democratico dei partiti del suo Paese: ha spiegato che lui è intervenuto per evitare che il suo Paese cadesse nelle mani dei comunisti, che erano antidemocratici», commenta D'Alema, riferendosi al passaggio del discorso di Berlusconi in cui ha giustificato la sua discesa in politica per fronteggiare il rischio dell' ascesa al potere dei comunisti dopo Mani Pulite.

IMBARAZZO E SCONCERTO

«È grave - rimarca D’Alema - che si usi una sede internazionale per criticare la magistratura italiana, raccontando delle bugie sulle sue vicende giudiziarie che sono molto più complicate di come ha raccontato alla platea». «Trovo inoltre vergognoso -aggiunge - che il capo del Governo venga a Yaroslavl per lanciare frecciate ai suoi alleati. Nonc'è alcun Paese Paese civile al mondo dove accadono queste cose. Spero che un capo di Governo di questo genere se ne vada al più presto per il prestigio del nostro Paese». Bisogna capire «quale è il modello democratico di Berlusconi, l'esaltazione fatta di Putin ci fa pensare siaun modello molto particolare ».

IL CAVALIERE ESPANSO

Ai giornalisti italiani, D’Alema riferisce che l’intervento di Berlusconi ha suscitato «un palpabile imbarazzo» nella platea di oltre 500 politici ed esperti di 20 Paesi, «intellettuali e studiosi occidentali che conoscono benissimo le cose». «Io l'ho percepito - sottolinea - anche l'applauso finale è stato freddo e burocratico». «Ha raccontato - insiste l’ex titolare della Farnesina - delle bugie sulle sue vicende giudiziarie, che sono molto più complicate di come le ha raccontate». «Avrebbe fatto meglio a leggere il testo che gli avevano preparato i suoi collaboratori, avremmo risparmiato una figura imbarazzante per il nostro Paese », aggiunge D’Alema , riferendosi al fatto che il premier ha rinunciato alla relazione scritta «perché fuori tema: era stato mal informato sul tema del Forum». Per il resto, l’intervento del Cavaliere è una imbarazzante autocelebrazione.

E aperture di credito altrettanto imbarazzanti. Putin e Medvedev esempi di democrazia. Anzi un vero e proprio «dono del signore » per il popolo russo.Neè convinto Berlusconi, che nelle «lunghe conversazioni» avute con Putin «non è mai stato colto dal dubbio che in lui ci fosse una volontà meno che democratica». Poi uno scampolo di verità: l'Italia e la Russia sono unite da «stima e amicizia. Ma anche gli scambi economici ci uniscono», riconosce il presidente del Consiglio, che ha fatto della «diplomazia degli affari» il fulcro della sua politica estera. «Siete il primo fornitore di gas, importanti anche per il petrolio. Sono rapporti che ci hanno consentito di essere vicini in molte situazioni internazionali, come quando venne offerto a Ucraina e Georgia di entrare nella Nato e voi vi siete opposti comprensibilmente. Viaggiamo bene insieme, siamo due Paesi che ragionano nella stessa prospettiva », s’infiamma il Cavaliere. Poi un’altra botta di autoesaltazione: nel 2002, a Pratica di Mare, azzarda Berlusconi, «scrissi personalmente » un accordo che prevedeva la «collaborazione» tra Russia e Alleanza Atlantica contro il «terrorismo, la pirateria internazionale, il traffico di droga». Nel tardo pomeriggio, Berlusconi parte da Yaroslavl per Mosca dopo un rinfresco a bordo di un battello sul Volga con il leader del Cremlino, Medvedev, e il presidente sudcoreano Lee Myung-bak. In serata appuntamento con il premier russo, l’«amico Vladimir», nella sua dacia di Novi Ogariovo. Una cena di affari. In cui - anticipa il portavoce di Putin, Dmitri Peskov - si parlerà di «rapporti bilaterali, scambio commerciale e investimenti».

Nota a margine dell’IDV:

«La prossima volta andrà in ginocchio da Ahmadinejad»

GENUFLESSIONI «DopoGhedaffi e Putin il prossimo leader intarnazionale a cui si genufletterà il premier dell’Italia sarà Mahmud Ahmadinejad? La politica estera del governo sta prendendo una pericolosa deriva». Lo ha affermato in una nota il portavoce dell`Italia dei Valori, Leoluca Orlando. «Berlusconi bacia le mani al leader libico che tortura i rifugiati. Pochi giorni dopo va a trovare il poco democratico Putin - continua Orlando -. Perché Berlusconi, invece di attentare alla Costituzione attaccando la magistratura pure in terra straniera, non chiede al suo amico chi ha ucciso la giornalista Politoskaia e a che punto sono le indagini?».

giovedì 9 settembre 2010

Sakineh violenza ancestrale

Diamo voce a Shukri Said , Portavoce dell’Associazione Migrare.

La lapidazione, esclusa dal Corano, era prevista dalla Bibbia fino al fatto dell’adultera con Gesù Ora una battaglia contro le violenze alle donne


La lapidazione per adulterio e concorso in omicidio minacciata a Sakineh non è medievale, è ancestrale.

Escluso che sia comminata nel Corano, che non la prevede mai, essa è invece prevista dalla Bibbia per il caso di adulterio (Deuteronomio 22: 22, 23). Il Deuteronomio risale al VI-V secolo a. C., ma Cristiani ed Ebrei hanno abbandonato tale pratica duemila anni fa quando, come riporta il Vangelo (Giovanni 8, 1-11), scribi e farisei portarono a Gesù una donna colta in flagrante adulterio interrogandolo sulla lapidazione prescritta da Mosè. E Gesù, con la famosa frase «Chi è senza peccato scagli la prima pietra», impose l’abbandono della feroce pratica.

Né Maometto, l’ultimo dei profeti, avrebbe voluto ripristinare una così barbara sanzione tanto limpidamente eliminata dal “suo” predecessore Gesù. In effetti la lapidazione per adulterio fu introdotta nell’Islam con un Hadith di Omar, successore di Maometto (Hadith Sahih Muslim vol. 3, libro 17, n. 4206) e non appartiene all’esperienza diretta del Profeta narrata nel Corano, l’unica da osservare, dove si prevedono (Sura 24, 2-3, “La Luce”) “solo” 100 frustate per l’adulterio conclamato da quattro testimoni, maschi e attendibili, che dichiarino di aver assistito alla penetrazione. Il che equivale alla punizione, non dell’adulterio in sé, bensì dell’oltraggio al pudore (previsto come reato anche in Italia) suscettibile di scuotere, con lo scandalo che ne consegue, le regole di una sana comunità.

Infatti, la sanzione è eseguita dalla folla in un rito di espiazione dell’affronto subito dalla collettività. Invece rimane senza conseguenze l’adulterio “privato” in cui, al marito che accusa con apposita formula coranica, può rispondere pariteticamente la moglie discolpandosi mediante il ribaltamento della medesima formula pronunciata dal marito. È’ inammissibile che nel terzo millennio siano considerati interlocutori della collettività internazionale paesi che ammettono ancora la lapidazione. Invece il mondo reagisce a questa barbarie di regime solo quando si lega a un nome. Salviamo Sakineh oggi come quando salvammo la nigeriana Amina Lawal nel 2003.

Queste reazioni internazionali, oltre che a salvare la vittima, mirano anche a sollevare dai sensi di colpa per il silenzio sui casi trascurati ma sicuramente esistenti. Perché chi deve impegnarsi per la salvezza della donna oppressa dai regimi canaglia, sono i governi di quei paesi dove l’opinione pubblica si mobilita e che di volta in volta si cimentano in compromessi per accontentare i loro elettori. Viene così l’idea che il nome della vittima trapeli in occidente non tanto per l’abilità informatica o informativa di qualche dissidente, quanto per la volontà del regime che della più efferata nefandezza permette il diffondersi della notizia proprio per conquistare il compromesso di cui ha bisogno.

Il caso di Sakineh è la dimostrazione di questo metodo adottato dal regime iraniano per uscire dall’isolamento diplomatico conseguente alla scelta nucleare. È trapelata la sua condanna alla lapidazione per un reato di adulterio che, in occidente, non dà neppure più luogo alla separazione con addebito e, al movimento d’opinione sollevatosi contro il supplizio, si è risposto con una ulteriore condanna a 99 frustate per l’inconcepibile delitto di aver mostrato i capelli in una foto che, addirittura, non riproduceva neppure Sakineh.

È questo un chiaro pretesto del regime iraniano per rimanere al centro dell’attenzione di quella comunità internazionale che sarebbe veramente ora che si svegliasse. La battaglia per i diritti umani non si fa saltuariamente. Per una Sakineh di cui traspare la triste storia, ci sono nel mondo tante altre donne, troppe, che anonimamente subiscono violenze e torture intollerabili. La violenza di tanti regimi è così antica e feroce che, anche per difendersene, le donne hanno mantenuto ei secoli le loro mutilazioni genitali, cioè la rinuncia alla sessualità.

Non possiamo convincerle ad abbandonare definitivamente quelle pratiche se non combattiamo i regimi che infieriscono sulle donne tutte le volte che si affaccia il loro diritto alla femminilità. Se la democrazia non può essere esportata, come esperienze ancora in corso dimostrano, il suo seme può tuttavia essere piantato, ma va tenacemente coltivato. Vogliamo che la battaglia per Sakineh sia l’ultima con un nome e che si apra finalmente la guerra alla violenza sulle donne ovunque, perché quella sulle donne è violenza capace di tutto e buona a nulla. Da estromettere dal Pianeta Terra con un formidabile rigurgito di dignità internazionale e non con intermittenti singhiozzi.