martedì 3 dicembre 2013

PD e brodini

Chi non ha visto il tele-confronto su Sky dei tre candidati alla segreteria del Pd e ne ha saputo qualcosa soltanto dai resoconti della stampa, del web e dei tg, cioè la stragrande maggioranza degli italiani, s’è fatto l’idea che sia andato male per gli ascolti ma bene per i contenuti. Perché Renzi, Cuperlo e Civati avrebbero parlato di “programmi”. È vero, ne hanno parlato. Ma con l’aria di chi deve recuperare qualche sparuto miliardo qua e là, insomma di chi deve guidare il primo partito (almeno stando ai sondaggi) di un paese malaticcio, ma in via di guarigione. E allora patrimoniale sì o no, taglio delle province, o dei fondi pubblici ai partiti, o dei parlamentari, o del Senato tutto intero (per trasformarlo, fra l’altro, in un poltronificio per consiglieri regionali). Poi, naturalmente, tutti a ridere di Grillo che chiama Ocsa (o Oxa, come Anna) l’Ocse e vorrebbe addirittura un referendum sull’euro o la rinegoziazione del debito pubblico. Come a dire: quello è matto, mentre noi sappiamo quel che diciamo. Purtroppo, a giudicare dai sorrisetti, dagli ammiccamenti e dalle battute, non lo sanno neanche loro, quel che dicono. Perché dal 2014 gl’impegni assunti dai governi Berlusconi, Monti e Letta con l’Europa (in parte dovuti, in parte no) imporranno di recuperare non qualche miliarduccio, ma decine di miliardi all’anno. Cifre che nessun taglio fra quelli proposti dai candidati piddini, né tantomeno le baggianate governative sulle caserme o le spiagge o gli immobili pubblici o le partecipazioni statali da svendere, basterà neppure lontanamente a raggiungere. Ci vuole ben altro. Cure da cavallo, non brodini e pannicelli caldi. E la scelta di chi pagherà il conto non è tecnica: è politica. Deve dettarla il Parlamento, non Saccomanni e i suoi tecnici. E nemmeno Lurch, al secolo Carlo Cottarelli, ultimo commissario straordinario alla spending review. L’altro giorno il Corriere anticipava il rapporto 2013 sulle attività della Guardia di finanza(online sul loro sito o su wikipedia): oltre 5 mila tra funzionari e impiegati pubblici denunciati per corruzione e truffa (dai falsi poveri ai finti consulenti), che nei primi 10 mesi dell’anno han provocato danni erariali da 2 miliardi e 22 milioni di euro, più truffe per 1 miliardo e 358 milioni. Cioè hanno rubato quasi 3,5 miliardi alla collettività: 350 milioni al mese. E questi sono soltanto quelli scoperti: immaginiamo a quanto ammonta il totale. Qualche mese fa, il ministero dell’Economia comunicò che i mancati incassi di evasione fiscale accertata dal 2000 al 2012, ma mai recuperata da Equitalia, ammonta a 545,5 miliardi di euro, su un totale di “ruoli” da riscuotere già emessi per 807,7 miliardi. Una parte dell’enorme buco (107,2 miliardi) è irrecuperabile perché riguarda soggetti in fallimento. Ma questo non basta per giustificare la bassissima capacità di riscossione di Equitalia, che non arriva al 5 per cento. In un paese serio (ipotetica del terzo tipo: un paese serio non avrebbe queste cifre di mancati introiti) si parlerebbe di questo, e solo di questo. E un governo e un Parlamento e dei partiti seri eviterebbero di perdere tempo appresso a corbellerie come la riforma costituzionale o l’ennesima legge contro la custodia cautelare e contro i giudici; ma concentrerebbero tutto il tempo e tutti gli sforzi disponibili a trovare il sistema per mettere le mani in questo immenso serbatoio di nero. Che non è numerologia astratta: sono somme accertate, con i nomi e i cognomi dei corrotti, dei truffatori e degli evasori. Basterebbe recuperarne il 5 o il 10 per cento in più, aumentando l’efficienza della macchina dello Stato, per avere a disposizione decine di miliardi per la mitica “ripresa”. Invece si continua a cincischiare dietro i falsi problemi e le false soluzioni. E a bollare chi chiede una seria lotta alla corruzione, all’evasione e al riciclaggio come giustizialista manettaro. Poi uno guarda chi sono i ministri e i politici che dovrebbero occuparsene, e capisce tutto.