mercoledì 26 giugno 2013

Errata corrige all'articolo di ieri, "Non larghe intestese, ma buone pene."

Mi son giunte alcune pesanti critiche di non-trasparenza per l'articolo di ieri:
Ed ecco subito che Nico fa ammenda:
Tra i processi arrivati a sentenza definitiva, Silvio Berlusconi conta sei prescrizioni (i falsi in bilancio del caso Lentini e i due Fininvest, la corruzione in atti giudiziari del Lodo Mondadori e del processo Mills, il finanziamento illecito ai partiti dell’All Iberian 1), tre assoluzioni (Sme-Ariosto 1, Medusa Cinema, Tangenti alla Guardia di Finanza), due depenalizzazioni (Sme-Ariosto 2, All Iberian 2) e 2 amnistie (per i terreni di Macherio e la falsa testimonianza sull’iscrizione alla loggia P2).
In primo grado Berlusconi ha ricevuto tre condanne, tutte negli ultimi mesi: la frode fiscale Mediaset, i nastri Unipol e (ieri) Ruby.
"Per la precisione", come diceva una volta il grande Massimo Buscemi, a "Quelli che il calcio" ;-)

martedì 25 giugno 2013

Non larghe intestese, ma buone pene.

Davvero qualcuno ha dovuto aspettare la sentenza del Tribunale di Milano per scoprire che Berlusconi Silvio va a puttane, preferibilmente minorenni, e abusa del suo potere e dei suoi soldi per nascondere la verità? Solo un Paese irrimediabilmente ipocrita, o disinformato, può meravigliarsi per un verdetto fra i più scontati della storia. Gli unici dubbi riguardavano la qualificazione dei reati e la quantificazione della pena. 
Ma i fatti erano accertati fin da subito: le telefonate notturne alla questura per far rilasciare Ruby sono incise nei nastri della polizia; le notti trascorse nella villa di Arcore dalla prostituta minorenne che poi se ne andava con le tasche piene di soldi sono dimostrate dai movimenti del suo cellulare; le deposizioni di decine
di test, tutti dipendenti o sul libro paga di Berlusconi, fra cui 4 o 5 parlamentari, un viceministro e alcune
mignotte, bastava ascoltarle per capire che erano false.
Che altro occorreva per farsi un’idea di quel che è successo e trarne le conseguenze?
Ma lo capiscono tutti che un miliardario non si fa portare 30 ragazze a botta, fra cui diverse prostitute (meglio definirle escort) e alcune minorenni, pagandole 2-3 mila euro se non dormono da lui e 5-6 mila se dormono da lui, per mostrare loro la sua collezione di farfalle. E non si scapicolla nottetempo per terremotare
un’intera questura, avvertito da una prostituta brasiliana, per far liberare una prostituta marocchina, coprendosi di ridicolo con la frottola della nipote di Mubarak, se non volesse tapparle la bocca su qualcosa che è meglio nascondere.
Queste panzane possono reggere in Parlamento, sui giornali, in tv. Per nostra fortuna c’è almeno un luogo, in
Italia, impermeabile alle balle: il Tribunale, nella fattispecie quello di Milano.
E non solo alle balle. 
Le giudici Turri, De Crostofaro e D’Elia, insultate e minacciate dall’imputato Berlusconi Silvio e dai suoi colonnelli(Cicchitto, Santachè, Brunetta e Capezzone), derise  dalla delegazione parlamentare Pdl in marcia sul Tribunale, depistate da orde di falsi testimoni, intralciate da manovre e cavilli assortiti (ricusazioni,  legittimi impedimenti, ileiti acute e malattie immaginarie, ricorsi alla Consulta), provocate dagli onorevoli  avvocati, "avvertite" dal capo dello Stato che ancora l’altro giorno ammoniva le toghe a tener conto delle conseguenze politiche dei loro atti, e infine intimidite dall’infame clima di larghe intese che butta tutto in politica e carica i giudici di responsabilità che non possono né devono avere, hanno tenuto i nervi saldi e sentenziato "sine spe ac metu", come dicevano i latini in tempi i cui i sentenziare la verità ancora aveva un senso. Senza lasciarsi condizionare né impressionare da niente e da nessuno.
Tutti sanno che il Colle e il Pd, da quando è nato il governo-inciucio, auspicavano una sentenza la più blanda possibile per tener buono il prezioso alleato ed evitare che gli elettori ricordino chi è: invece la condanna è
stata più severa di quella chiesta dai pm.
Una sentenza non di larghe intese, ma di larghe pene. Che però non può aggiungere nulla all’indecenza del personaggio politico che ci ha inginocchiato per 18anni, già ampiamente dimostrata dalle sentenze sulle tangenti alla Guardia di Finanza, sui 23 miliardi di lire a Craxi, sui fondi neri per 1.500 miliardi di lire, sulle frodi fiscali sui film, sulla corruzione di Mills, sulle mazzette ai giudici del caso Mondadori, casomai qualcuno le avesse lette. Ora i servi, le prefiche e i finti tonti si domandano affranti se Berlusconi farà saltare il tavolo dell’inciucio: ma quando gli ricapita un governo dove la fa da padrone dopo aver perso le elezioni? La vera domanda è un’altra: che ci fa il Pd al governo con uno così? Ma valeva anche prima, e nessuno la pose. In Italia si attendono sempre le sentenze e poi, quando arrivano, nessuno le legge.
È il Paese dell’amnesia.
Che fa rima con anestesia.
E con amnistia.