venerdì 28 febbraio 2014

Baby squillo a modello ?

L’idea era venuta leggendo i titoli dei giornali sul caso delle baby–squillo dei Parioli: le due minorenni ricevevano i clienti in un appartamento del facoltoso quartiere romano. E così tre ragazze di Ventimiglia hanno pensato che fosse quello il modo per avere qualche soldo extra. Hanno 14 e 15 anni le tre giovani genovesi che davanti ai loro genitori, quando è stato scoperto tutto, non hanno potuto far altro che piangere. Con l’ingenuità tipica di quell’età, avevano iniziato la loro attività un mese fa. Avevano pubblicato su un sito di incontri il loro annuncio, dove vendevano anche delle foto osè. Dal sito attiravano i clienti per poi incontrarli nelle loro auto parcheggiate nei piazzali o zone isolate dell’entro - terra. Finchè non hanno incontrato un trentenne che si è accorto della giovane età ed è andato in questura a Ventimiglia, a sporgere denuncia. “Quando ho visto che era una bambina, mi si è gelato il sangue e sono scappato”, ha dichiarato l’uomo. Anche lui aveva letto l’annuncio su internet ed era andato all’incontro. “Quella ragazzina non l’ho fatta neppure salire in auto”, ha precisato ai poliziotti. Dalla sua denuncia, sono partite le indagini della procura dei minori di Genova e così cinque persone sono finite nel registro degli indagati per sfruttamento della prostituzione minorile. Uno di questi è stato anche arrestato perché durante una perquisizione nella sua abitazione è stata trovata droga. In questo modo le tre studentesse vendevano il loro corpo per trenta o al massimo cinquanta euro. E quando sono state interrogate davanti ai loro genitori in questura sono scoppiate in lacrime. Hanno spiegato che tutto era iniziato per gioco, volevano imitare le due ragazzine romane dei parioli. Forse erano attratte da quella vita raccontata in tanti articoli: la vita di due minorenni che, postituendosi, potevano permettersi tutto, scarpe, trucchi e abbigliamento firmato. E così anche le ragazze di Genova volevano qualche soldo in più oltre la paghetta settimanale. “In che guaio ci siamo cacciate – hanno affermato, dopo un pianto liberatorio – Abbiano sbagliato, non lo faremo più.” Un’altra brutta storia che fa riflettere anche su quello che può essere il rapporto delle giovani donne con il sesso. Ieri sono stati diffusi alcuni dati dalla Società italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo), che spiegano due problemi fondamentali: l’uso dei contraccettivi ormonali tra le giovani donne che è pari al 16,2 per cento (L’Italia è al pari dell’Iraq), e la crescita dell’uso della pillola del giorno dopo per interrompere gravidanze indesiderate. La ricerca spiega quanto l’Italia sia lontana dagli standard dell’Unione Europea in materia di sesso sicuro. In generale il sesso protetto non è la norma nel  nostro Paese: ancora oggi 6 donne su 10 in età fertile (15-49 anni) non usano alcun metodo contraccettivo, il 15% non ne ha mai fatto uso e il 44% ha smesso di utilizzarlo. Tanto che una gravidanza su 5 è indesiderata. E questo problema riguarda soprattutto le minorenni. Se la pillola contraccettiva è ancora poco usata(metodo che mi vede contrario solo per gli squilibri ormonali che può provocare, ma è il mio opinabilissimo parere), quella cosiddetta del giorno dopo invece ha conosciuto una crescita vertiginosa, pari al 60 per cento in 7 anni, ponendosi tra i primi cinque farmaci venduti in Italia. “L'età del primo rapporto si è molto abbassata – spiega Novella Russo, ginecologa della Clinica Valle Giulia di Roma – in alcuni casi a 12–13 anni. (..) Alcune credono che con il primo rapporto non si possa rimanere incinta, e amano correre il rischio. Le adolescenti spesso ricorrono alla contraccezione d’emergenza in modo premeditato. Non avendo partner fissi ritengono inutile prendere un contraccettivo ormonale in modo fisso”. E così per riuscire a diffondere la cultura della contraccezione la Società italiana di ginecologia e ostetricia ha presentato la nuova campagna d’informazione sulla contraccezione “Love it! Sesso consapevole”, dedicata proprio alle under 25. Speriamo nella diffusione capillare del suo verbo.

giovedì 27 febbraio 2014

Feltri

A Roma si direbbe: “J'è partito 'n'embolo”. Per sdrammatizzare, si potrebbe anche metterla così, commentando ciò che ha detto Vittorio Feltri a Linea Gialla (La7, mercoledì, 21.15), dove Salvo Sottile si impegna molto per risalire sul pendio declinante degli ascolti, e ora sembra che guadagni, ora nuovamente perde e si ritrova “là dove il sol tace”, da cui era partito: (2.30%, lo share per 487.000 spettatori, fonte "ufficio stampa di La7"). Le ha sparate grosse, l’ex direttore de "Il Giornale", perché quando si è in tv bisogna pur dire ciò che si pensa, e se tu sei stato chiamato per recitare il ruolo del giornalista brillante, un po’ sboccato magari – oggi va così – non puoi sottrarti. Per trovare argomenti innocentisti a favore di Raffaele Sollecito, e smascherare l’impianto accusatorio, che a suo dire non tiene, perché non c’è né uno straccio di una prova né un plausibile movente, è arrivato a chiedere a Sollecito se lui, Meredith Kercher, la ragazza assassinata, se la voleva “scopare”. Così, brutalmente. Una domanda retorica, dal suo punto di vista, che già conteneva un’implicita risposta. Perché lui, Raffaele, che aveva un rapporto con una bellissima – Amanda Knox – non avrebbe avuto alcun motivo per corteggiare l’altra, quella uccisa, che peraltro non era nemmeno “eccezionale”. Se non voleva “scoparsela”, quindi, perché mai avrebbe dovuto ucciderla? Questi gli argomenti, e questi i nessi logici che li tengono insieme. Si vedeva, del resto, fin dall’esordio del dibattito, quale sarebbe stata l’aria della serata: Feltri, che era stato presentato da Sottile come l’interprete della linea innocentista, contrapposto a Roberta Bruzzone, criminologa, fautrice della tesi colpevolista, aveva dichiarato, sorridendo, sincera ammirazione per la sua interlocutrice, per la quale nutriva un “debole”. Ma poi da subito si era acceso in improvvisi scoppi d’ira, per denunciare l’insufficienza un po’ di tutto: delle “tute bianche” – i “chimici” della scientifica, che analizzano i reperti –; delle prime indagini sulla scena del delitto, ridicole e incomplete, e ovviamente della magistratura, che lui “adora”, ma solo perché ne ha “terrore”. Pur di dimostrarne l’inaffidabilità, ha avuto l’improntitudine di confessare – con la Bruzzone che gli suggeriva prudenza, per via della prescrizione – che fra i tanti processi subiti, è stato condannato per quelli in cui era innocente, e assolto per gli altri, nei quali era colpevole. Un Vittorio Feltri Show, non gratificato da alti indici di ascolto, che almeno avrebbero regalato alla sua presenza e ai veementi sforzi argomentativi una degna cornice popolare. Tanta foga per nulla. Il fatto è che anche l’anti-processo è un format logorato. Come logorato è l’urlo, che talvolta sembra svolto a comando. E Feltri, se proprio ha piacere di andare in tv e sorridere con galanteria alle sue interlocutrici, deve comprendere che pur non chiedendogli la postura affettata del bon ton o del politically correct, esistono regole nella comunità umana, se non di buona educazione nei confronti dei vivi, di rispetto almeno verso i morti. Anche perché, da morti, non hanno più la possibilità di difendersi, controbattere, urlare. E forse, in certi casi, gli piacerebbe molto lanciarlo, un urlo. Di quelli molto, molto sboccati. Per chi volesse, la puntata è sul tubo, qui.

mercoledì 26 febbraio 2014

Uganda - Italia ?

È partita la caccia alle streghe. Non sono trascorse che poche ore dalla promulgazione della controversa legge che punisce con pene severissime – fino all’ergastolo – i rapporti omosessuali, e già un tabloid scandalistico ugandese, Red Pepper, mette all'indice i “200 top homos” del paese africano. È l’outing della vergogna, non solo perché i gay vedono rivelata la loro condizione sessuale contro la propria volontà ma perché ora, legge alla mano, rischiano di essere esposti a ogni forma di persecuzione e a pesanti conseguenze penali. “Exposed!”, annuncia in prima pagina il quotidiano in tono trionfalistico, quasi avesse realizzato un invidiabile scoop giornalistico. Sotto il titolo, le foto di quattro gay, segnalati come si trattasse di pericolosi criminali. E all’interno, 200 nomi e cognomi, serviti su un vassoio per facilitare il lavoro della polizia del regime di Yoweri Museveni, il satrapo che governa a Kampala da quasi trent’anni. Nella lista compaiono tra gli altri un popolare cantante di hip-hop, un sacerdote cattolico e un conosciuto attivista per i diritti degli omosessuali, Julian Pepe Onziema, che da tempo aveva messo in guardia sui rischi dell’esplosione di un’ondata di violenza anti-gay in vista dell’approvazione della legge repressiva proposta dal governo. Onziema ha ben chiaro in mente un atroce precedente, che fece scandalo in Uganda. Tre anni fa, il 26 gennaio 2011, proprio mentre parlava al telefono con David Kato, come lui militante del movimento Smug (Sexual Minority Uganda), il suo amico venne aggredito in casa e ucciso a colpi di martello.
Pochi giorni prima, Kato aveva vinto in tribunale una causa contro la rivista ormai scomparsa Rolling Stone (niente a che fare con la pubblicazione statunitense) che, proprio come ha fatto ora il tabloid Red Pepper, aveva pubblicato il suo nome insieme a quelli di un altro centinaio di omosessuali. Sotto il macabro titolo “Impiccateli” veniva anche indicato l’indirizzo dei gay ai quali si invitava a dare la caccia. In base al nuovo testo legislativo - che nella bozza iniziale presentata dal deputato del partito di governo National Resistance Movement, David Bahati, prevedeva anche la condanna a morte nei casi di cosiddetta “omosessualità aggravata” - vengono castigate con 14 anni di carcere le relazioni tra persone dello stesso sesso quando ci sia stato un solo rapporto, mentre si prevede la condanna all’ergastolo per relazioni ripetute nel tempo tra adulti consenzienti, o quelle in cui sia coinvolto un minorenne, un disabile o un portatore del virus Hiv. Puniti anche i rapporti sessuali tra donne (“Per il mio presidente, da oggi sono ufficialmente una criminale per il fatto di essere lesbica”, ha dichiarato la fondatrice di Freedom and Roam Uganda, Kasha Jacqueline Nabagesera). La norma considera un delitto anche il non denunciare i casi di omosessualità di cui qualunque cittadino venga a conoscenza. Viene inoltre punita la “propaganda gay” sul modello della legge introdotta di recente in Russia da Vladimir Putin. A nulla è servito il recente avvertimento del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, che aveva annunciato che l’approvazione della legge avrebbe “potuto complicare” i rapporti tra i due paesi. Una minaccia confermata in queste ore dal segretario di Stato, John Kerry, che parla di “giorno tragico per l'Uganda” e minaccia di tagliare gli aiuti economici al governo del paese africano. Museveni risponde a muso duro: “Noi non cerchiamo di imporre il nostro punto di vista a nessuno. Ci lascino in pace”.
Serve guardare in casa degli ugandesi per scandalizzarci?  Direi di no, basta ricordare il 2 Novembre 2010, e basterà guardare questo video per capire che in quanto Italiani, siamo imbattibili nelle battaglie "civili". Complimenti a noi.

BitCoin - vero o falso ?

Il Bitcoin, la moneta virtuale più utilizzata al mondo, senza una banca centrale e senza controllori, ha vissuto ieri il suo giorno più nero: è bastata la notizia del crac finanziario di Mt.Gox a scatenare il panico. La più grossa società di cambia valute online del settore – con sede a Tokyo, che dal 2010 permette ai propri utenti di comprare la valuta virtuale in cambio di dollari e viceversa – avrebbe subito un furto di circa 744 mila Bitcoin (al cambio attuale circa 350 milioni di dollari). Le transazioni erano state sospese lo scorso 7 febbraio a causa di “problemi tecnici”, ma da ieri il sito non è più accessibile. Non è ancora chiaro cosa sia avvenuto. Inizialmente si è parlato di un attacco hacker, anche se diverse fonti finanziarie danno per certo che l'ammanco sia stato orchestrato all'interno della stessa società, un lento e costante drenaggio di risorse andato avanti per anni. Il blocco del portale infatti è avvenuto all’indomani delle dimissioni del suo numero uno, Mark Karpeles, dal consiglio della Fondazione che tutela la criptomoneta, la Bitcoin Foundation e a stretto giro dalla diffusione di un comunicato congiunto di altri sei operatori che hanno preso le distanze da Mt.Gox. L'allerta era già scattato nelle scorse settimane con allarmi lanciati dal capo del settore tecnico della fondazione, Gavin Andresen, preoccupato dalle anomalie registrate nella piattaforma che crea la moneta. Il sito giapponese è infatti solo un intermediario che negozia la valuta per conto terzi. La piattaforma funziona son un protocollo simile a quello per scaricare e condividere materiale in rete senza bisogno di snodi centrali. Il software permette la “estrazione” e consiste di “sca - vare” blocchi di moneta virtuale risolvendo problemi crittografici. La rete genera e distribuisce moneta in modo casuale a intervalli regolari durante la giornata. I “minatori” mettono a disposizione la capacità di calcolo del proprio computer, e il tutto avviene senza alcun coinvolgimento attivo del suo proprietario. Il sistema è stato creato nel febbraio 2009 da Satoshi Nakamoto, pseudonimo sotto il quale si celerebbero diversi sviluppatori e si fermerà una volta coniati 21 milioni di pezzi. I siti che accettano i Bitcoin sono in continuo aumento. Chi li vuole acquistare può rivolgersi a società come Mt.gox, finora il più grosso operatore sul mercato. La notizia del suo probabile fallimento ha così scatenato il panico, il primo passo verso il declino di una moneta soggetta ad una forte volatilità dovuta al fatto che i bitcoin in circolazione sono pochi e molto richiesti: a novembre per comprare un bitcoin servivano 1200 dollari. “La valuta americana non è certo la più stabile al mondo. Ma almeno la nostra banca centrale non scompare durante la notte”, scriveva ieri su twitter l’economista Daniel Gros. Il problema - per molti un vantaggio - è proprio l’assenza di un regolatore. Fino a pochi mesi fa il portale giapponese gestiva l’80 per cento del traffico di Bitcoin. In 24 ore il valore della moneta virtuale è sceso di circa il 20 per cento. Ieri, dopo un iniziale tonfo, si è assestato intorno ai 517 dollari. Falsificarla è quasi impossibile, più facile rubarla, come infatti è avvenuto in più occasioni. “Il sistema è giovane, e moltissime piattaforme hanno meccanismi di sicurezza molto amatoriali”, spiega Giulia Aranguena, avvocato esperto di questioni legali legate ai Bitcoin. Il caso più famoso riguarda 2,3 milioni di euro sottratti a 500 risparmiatori cinesi, utenti che non avevano Bitcoin nel loro portafoglio (wallet ) ma li avevano affidati proprio ad una società di cambia valute. E la maggior parte delle autorità di controllo resta a guardare. Solo in Germania il mercato è regolamentato. La speculazione sui diversi prezzi applicati dai gestori dei portali è cresciuta negli ultimi giorni. I numeri non sembrano far pensare all’esplosione di una bolla speculativa. Nel tempo, le società di cambio, e gli investitori in Bitcoin sono aumentate a dismisura, con l’ingresso di alcune grandi banche, come la Goldman Sachs. Il mercato è in espansione, la moneta virtuale è democratica e garantisce il parziale anonimato, ottimo per le organizzazioni criminali. Il 27 gennaio l’amministratore delegato di BitInstant, Charlie Shrem, è stato arrestato con l’accusa di aver riciclato denaro attraverso Silk Road, un sito di commercio online anonimo usato soprattutto per comprare sostanze illegali e chiuso dall’Fbi nell’otto - bre del 2013. Shrem è anche vicepresidente della Bitcoin foundation. Nel giro di qualche mese sono stati costretti a dimettersi due membri della organizzazione californiana. “Questa non è certamente la fine di Bitcoin - spiegano dalla Fondazione - ma la fine di un capitolo, verrà una seconda generazione di imprenditori capaci e responsabili che saprà costruire un sistema più affidabile”. In Italia, se parli di BitCoin, qualcuno del settore, ti consiglia di aggiornare l'antivirus per proteggerti meglio :-(

martedì 25 febbraio 2014

Scommessa

Oggi breve articolo, perchè, purtroppo i contenuti programmatici di Renzi sono a dir poco inadeguati (nella prima stesura di questo articolo avevo scritto "stomachevoli", poi cambiato in "demagogici"). Sarebbe il motivo principe per dar il giusto risalto, e quindi essere esaustivi, ma non ce la faccio. Colpa mia. Gli iniziali sondaggi, infatti, sono già favorevoli; il primo discorso parlamentare di Matteo Renzi ha il profumo del discorso elettorale. I segnali non mancano. Quel suo parlare a braccio e con la mano in tasca, innanzitutto, come un sindaco che si rivolge ai bravi cittadini delle mille Rignano italiche (suo padre fu consigliere di Rignano per l'appunto) non ai poco bendisposti membri del Senato di cui con l’abituale ruvidezza ha già preannunciato la cancellazione. E poi quel vasto programma che non a caso accompagna alle due magiche parole: “sogno” e “coraggio” e che sembra dire: votatemi. Per carità, sentimenti che si addicono al vivace trentottenne che (parole sue) se non avesse fortemente sognato di sedere un giorno a Palazzo Chigi oggi farebbe ancora politica in provincia. Come si può, allora, non plaudire al taglio del 10% del cuneo fiscale, al saldo dei debiti della Pubblica amministrazione o al piano per l’edilizia scolastica? Ma i sogni costano e il Sindaco d’Italia si è ben guardato dallo spiegare dove mai troverà quel centinaio di miliardi, a dir poco, necessari alla bisogna. Lo stesso scaltro stile, sia detto senza offesa, di quando Berlusconi prometteva l’abolizione dell’Ici senza dire con quali soldi, ma poi vinceva le elezioni. Infine, Renzi si è fatto troppi nemici, soprattutto nel Pd e lo sa benissimo. Impensabile che un tipino del genere si faccia rosolare a fuoco lento come un Letta qualsiasi. Resterà in sella il tempo necessario per approvare la nuova legge elettorale e dimostrare la nequizia dei partitini. Più omeno fino al prossimo ottobre. Scommettiamo? P.S: è notizia di ieri che gli ucraini, grazie al parlamento di Kiev, siano riusciti a destitiuire il presidente Yanukovic. Se chiediamo a cento popoli, se preferiscano essere guidati dall'armena/lettone/ucraina Yiulia Tymoshenko o dall'italiano Matteo Renzi chi sceglieranno ? Io credo la prima. RiScommettiamo? 

sabato 22 febbraio 2014

che dire

Una scena mai vista: il premier uscente al momento del passaggio di consegne a Palazzo Chigi non degna di uno sguardo il successore. E già si parla di una clamorosa uscita dal partito. La “staffetta” avvelena l’inizio del nuovo esecutivo che ha già le sue gatte dal pelare: dal ministro dello Sviluppo Guidi beccata lunedì a cena ad Arcore, ai possibili conflitti di interesse del collega del Lavoro Poletti. E non ultima la cacciata della Bonino. E domani la fiducia al Senato. Tanta carne al fuoco. Troppa.  La sincerità non ha casa in politica, lo si sa, come anche la lealtà. Eppure il gesto che ieri ha compiuto Enrico Letta, il ripudio di qualunque segno di affetto verso il presidente del Consiglio, nel brevissimo rito della consegna della campanella a palazzo Chigi, toglie opacità, retropensiero e ipocrisia alle gesta del protagonista. Ritraendo istantaneamente la mano sua da quella di Renzi, che lo guarda per la prima volta con occhi bassi e imbarazzati, e correndo via da una cerimonia che sembra offenderlo, Letta non perde il senso dello Stato (è lì infatti ad adempiere ai suoi doveri) ma non rinuncia a manifestare in pubblico il proprio dolore, la disapprovazione per come gli è stata sottratta la poltrona. Ma la mano che lo sconfitto quasi rifiuta di porgere al vincente è anche un manifesto di cattive intenzioni, annuncia che nulla al giovane, magari talentuoso ma inesperto premier sarà risparmiato, che la vita del suo governo, specialmente nelle aule parlamentari, dovrà superare ostruzioni impreviste, antipatie inattese. Letta se ne va da palazzo Chigi, non dalla vita politica. Le sue relazioni nel mondo che conta sono ampie e resistenti al tempo e alle mode, e la voglia di una rivincita è più che plausibile. E infatti sempre ieri, sul suo profilo twitter, ha cancellato l’incarico di premier riprendendo quello di deputato. “Deputato della Repubblica”, ha scritto. Non più del Pd. Acque agitate proprio nel Pd. Parliamo appunto della prima ondata polemica che coinvolge il partito. Appunto, del Ministro Gudi, e del suo ministero: Lo Sviluppo economico.
Federica Guidi, Ministro dello  Sviluppo
Federica Guidi non è una quota rosa, è una quota azzurra. È l’unico ministro del governo Renzi che anche Silvio Berlusconi avrebbe voluto se a Palazzo Chigi ci fosse stato lui con Forza Italia. A chiarire le simpatie della signora modenese sarebbero bastate le dichiarazioni della titolare dello Sviluppo economico quando era a capo dei giovani di Confindustria, il sorriso mentre Berlusconi umiliava lei e Emma Marcegaglia da un palco: “Prendete atto che sono l’unico uomo e che queste due donne non sono minorenni” (era il 2009). Sull’HuffingtonPost. it Alessandro De Angelis rivela che ancora lunedì sera Federica Guidi era ad Arcore, assieme al padre Guidalberto da cui ha ricevuto un’azienda (la Ducati Energia, dalla cui vicepresidenza il ministro ora si dimette) e le sue entrature confindustriali e politiche. A cena il Cavaliere, scrive De Angelis, non nasconde la sintonia: “Federica, prima o poi questa tessera di Forza Italia dovrai fartela...”. La Guidi è una delle scelte più misteriose di Renzi: non ha esperienza ministeriale, guidare la Confindustria giovani non è un vero lavoro, non richiede particolari competenze, a parte lamentarsi un paio di volte all’anno da Santa Margherita Ligure e da Capri per il fisco e la burocrazia che opprimono le imprese. Quindi perche' dare alla Guidi un ministero come lo Sviluppo, dove ha faticato un supermanager come Corrado Passera e un sindaco esperto come Flavio Zanonato è stato travolto dalla complessità della struttura? Per rassicurare Confindustria, certo, ed evitare che faccia opposizione a Renzi(ma e' solo una mia supposizione) come durante la fase finale dell’esecutivo Letta. Ma anche per rassicurare Silvio Berlusconi su una delle sue due preoccupazioni (una è l’arresto, l’altra le comunicazioni, che dipendono dallo Sviluppo). Non sono più i momenti cruciali del beauty contest che doveva regalare a Rai e Mediaset le frequenze liberate dal passaggio della tv dall’analogico al digitale: tra lungaggini burocratiche e vincoli europei, le frequenze si sono svalutate e sono meno strategiche (ma Mediaset almeno ha evitato l’ingresso di pericolosi concorrenti). Nel dubbio meglio prevenire: ora che Google, per esempio, ha un potere di lobby tale da spingere Renzi a bloccare la apposita tassa voluta da Letta, per Mediaset si annunciano anni complicati. Sta arrivando Netflix, a sconvolgere il mercato della tv a pagamento, Mediaset Premium non ha mai funzionato e ora, dopo aver acquistato l’esclusiva della Champions League, cerca nuovi assetti, magari fusioni. Il ministro sbagliato potrebbe favorire il web a scapito della vecchia tv generalista. Ma Berlusconi non pare doversi preoccupare. Vedremo se come vice alle Comunicazioni la Guidi confermerà Antonio Catricalà, da sempre amico di Gianni Letta, ombra del Cavaliere.
Il clientelismo ha ridotto il BelPaese a cio' che abbiamo sotto gli occhi ogni giorno.

mercoledì 19 febbraio 2014

Giochi a cinque manette

Ve lo ricordate il tanto stimato (dal nostro piccoletto "blu") Putin ? Arrivato in Italia ed accolto come un innovatore. Che a sua volta accoglie il nostro piccoletto in patria da lui, etichettandolo come uno dei suoi più cari amici ? Compagni di bisboccia giornaliera ma soprattutto notturna, il lettone in oro ed ottone regalato, e relegato in villa Grazioli fino a poco tempo fa sul qual lettone la D'Addario, così si vocifera, fece qualche "evoluzione"?! Ecco, «quel» Putin appunto.
Avete presente che da una decina di giorni ci sono le Olimpiadi Invernali a Soci, spot elettorale voluto da Putin ?
Bene.
Succede che le famose Pussy Riot, irriducibili attiviste dell’opposizione, scelgano Soci per filmare il videoclip della loro ultima canzone intitolata ironicamente “Putin ti insegna come amare la madrepatria”. Un’iniziativa sul filo del rasoio. Il rischio minore è di finire come Vladimir Luxuria: arrestata ed espulsa. Quello peggiore, di tornare dentro l’arcipelago gulag dei terribili penitenziari femminili russi. Maria Alyekhina e Nadezhda Tolokonnikova, le leaders del gruppo punk, non hanno paura: hanno passato 22 mesi di duro penitenziario. Sanno che il palcoscenico dei Giochi è sotto  li occhi del mondo intero. Sanno pure che il peggio arriverà quando i Giochi si concluderanno. Avevano promesso che la loro lotta non si sarebbe spenta dopo l’amnistia e la scarcerazione del 23 dicembre. Quale migliore platea, se non quella di Soci? E lì atterrano domenica. Il tempo di scaricare i bagagli, che subito sono fermate e schedate dalla polizia. Chiaro gesto intimidatorio. Le ragazze pigliano alloggio in un albergo a trenta chilometri dalle installazioni dei Giochi. Sono rassicuranti: dicono che non hanno alcuna intenzione di visitare il Parco Olimpico, o fare performances durante le gare. Vogliono solo promuovere quel filmato e cantare. Le autorità  non ci credono. E non le lasciano in pace, alla faccia dello spirito olimpico e del “Codice etico del Cio”, il Comitato Olimpico Internazionale, in cui la prima regola è lapidaria: “La salvaguardia della dignità della persona umana è un’esigenza fondamentale dell’Olimpismo”. Invece, lunedì le Pussy Riot sono di nuovo vessate: 10 ore di interrogatorio, stavolta coi funzionari dell’Fsb, i servizi di sicurezza federali - l’erede del Kgb. eri mattina, terzo atto. La polizia intercetta le cantanti sul lungomare di Soci, a due passi dalla chiesa dell’Arcangelo Michele. La retata colpisce almeno una dozzina di persone, oltre le Pussy Riot.
Come Eugene Feldman, fotografo di Novaja Gazeta (il giornale in cui lavorava Anna Politkovskaja, giornalista assassinata brutalmente, ricordo ai più giovani). O come Anastasja Kirilenko, giornalista di Radio Svoboda (Radio Libertà). Testimoni dell’azione parecchi giornalisti americani, francesi e russi, salvati dall’accredito. Stranamente, la polizia non sequestra i telefonini delle Pussy Riot. Le quali utilizzano in tempo reale Twitter per scandire la cronaca del loro fermo. Il primo tweet è delle 10 e 46, ora locale: “Siamo state arrestate e siamo accusate di furto”, scrive Nadezhda, “stavamo solo passeggiando a Soci”. Alle 11 e 12 arriva la prima immagine della camionetta in cui le Pussy Riot sono state usando “la forza”, con modi “violenti e offensivi”. Una prima versione dell’arresto rimbalza in un dispaccio d’agenzia, il fermo delle Pussy e degli altri rientrerebbe nel quadro di un’indagine per via di un furto avvenuto nel loro albergo. Una seconda versione è meno arzigogolata, le Pussy non avrebbero ottemperato all’ob - bligo della registrazione presso le autorità di polizia entro 24 ore dal loro arrivo a Soci, che riguarda tutti i non residenti. Verso le 2 e mezzo, le Pussy Riot sono rilasciate. Lasciano il commissariato indossando l’abito di scena dei loro concerti, la testa avvolta da una sorta di calzamaglia, che i russi chiamano balaklava . Appena superano i cancelli, gridano in russo: “Danno in mano la torcia olimpica... nelle colonie insegnano a piangere”. In inglese, spiegano: “Si commettono tante violazioni dei diritti umani... è chiaro che non si tratta solo di un evento sportivo, è un evento politico”. Quanto ai padroni dei 5 cerchi tutto ciò sia indigesto lo dimostra Mark Adams, il portavoce del Comitato Olimpico Internazionale: “Speriamo che i Giochi non saranno utilizzati per qualsiasi manifestazione”, ha dichiarato ieri, commentando il caso Luxuria. Ora un certo malumore sta scuotendo le squadre di Canada e Usa e alcune nazioni europee. Non tutti ci stanno a far finta che Soci sia il paradiso dello sport. Anche perché, in russo, la parola Olimpiada si può scomporre: Olimp, gloria. Ad , inferno.

martedì 18 febbraio 2014

Neknomination

Bradley è inglese, ha 20 anni e gioca a rugby. Gira un video che condivide su Facebook in cui fa fuori, una dopo l’altra, come fossero semplici shot, un paio di bottiglie di gin. Dopo la prima bottiglia si sente male, ma va avanti – è questa la sfida. Fa passare qualche istante e ingurgita anche la seconda bottiglia. Pollici in alto: ce l’ha fatta: “Così si beve” esulta nel video. Passano solo pochi giorni e Bradley non c’è più: è morto. Bradley Eames sembra essere la quinta vittima della ‘neknomination’, l’ultima stupida trovata che corre sui social media. Nata in Australia pochi mesi fa, divenuta popolarissima tra gli studenti in Gran Bretagna e Irlanda e forse già in viaggio verso gli Usa, la neknomination (il cui nome fa evidente riferimento al collo della bottiglia di birra o superalcolici) vorrebbe essere solo un gioco di bevute su internet, ma è diventato qualcos’altro. Funziona così: in un video che viene condiviso su Facebook o YouTube, qualcuno beve una spropositata quantità di alcol e poi nomina tre amici, che devono ripetere l’impresa entro 24 ore, pena essere presi in giro se non lo fanno.
Ragazzo sfidato in Neknomination
Divenuta virale grazie ai social media, la neknomination è deteriorata in una serie di varianti che hanno sempre più a che fare con bravate assurde o disgustose, come nel caso di un ragazzo che si fa riprendere mentre mette nel frullatore un topo morto che aggiungerà alla sua dose di alcolici, o un altro che, appeso a testa in giù per le gambe sostenuto da due compagni, versa nel water una birra e la beve. Più è al limite, più la sfida sfonda sul web. Quel che è più grave è che il gioco ha ucciso già dei ragazzi, tutti sotto i 30 anni. Prima di Bradley era toccato a un altro ventenne inglese, Isaac Richardson, morto per un micidiale cocktail  di vino, wiskey, vodka e birra assunto nell’ostello dove lavorava, a Woolwich, a sud est di Londra. A Cardiff un’altra vittima, il 29enne Stephen Brook che aveva trangugiato una bottiglia di Vodka in meno di un minuto. All’inizio di febbraio gli irlandesi Jonny Byrne Ross Cummins, rispettivamente di 19 e 22 anni, erano morti in luoghi diversi ma entrambi improvvisamente poche ore dopo la bevuta filmata e condivisa su Facebook. Nonostante gli appelli dei genitori delle vittime a fermare questa follia, Facebook si rifiuta di prendere provvedimenti. Il fenomeno, fanno sapere i dirigenti del social network fondato da Mark Zuckerberg, non viola nessuna regola. Può darsi, ma certo ha un effetto dirompente sul comportamento dei ragazzi. Tra l’altro la neknomination è l’ultima pericolosa tendenza amplificata da internet, ma non certo la prima. Tre anni fa sul web spopolava il ‘planking’, in cui le persone si sdraiano a pancia in giù in luoghi inusuali pericolosi (ponti, precipizi, rotaie di treni ecc) per poi postare foto su Facebook. Due ragazzi australiani 20enni morirono nel 2011, l’uno precipitando dalla ringhiera del balcone di casa, l’altro cadendo da una macchina in movimento. Ma anche nei casi in cui, per fortuna, non ci sono vittime, i social network sembrano rappresentare una cassa di risonanza per chi le sue bravate non può fare a meno di condividerle. Manco a dirlo, TUTTE queste geniali mode le stiamo importando, lemme lemme, in Italia. Come esimersi dal farlo in effetti ?

lunedì 17 febbraio 2014

Capitan Pistone - il video -

Prendendo spunto da questo mio, ho pubblicato, come promessovi il seguente:

Capitan Pistone, 461,1 Mb
(Cliccate sul link qui sopra per scaricarlo)

Una piccola nota, che fara' storcere il naso ai piu': mancano gli ultimi, credo due minuti, "del documentario", in quanto, e chi mastica "satellite" lo sa bene, l'EPG Rai e' disdicevole (voglio usare un eufemismo). In due parole due, l'EPG, Electronic Program Guide, istruisce il registratore quando accendersi e quando spegnersi. Il documentario doveva partire alle 00:05 e terminare alle 01:00. Purtroppo il telegiornale ha sforato il programma all'inizio, la pubblicita', prima del programma, ha fatto il resto.

Il documentario resta completamente fruibile, a chi ne fosse interessato, per contnuti e messaggio.

venerdì 14 febbraio 2014

Vignettismo

Satira che fotografa, purtroppo perfattemente, il panorama politico italiano del momento.
Aspettando futuri sviluppi.





Capitan Pistone

«Di Alzheimer si parla spesso in maniera pietistica, io ho voluto farlo in modo crudo, ma anche tenero». Così parlò la regista Mara Consoli, 50 anni, che ha filmato la fase acuta della malattia che il padre Vittorio ha vissuto fino all’epilogo e ne ha fatto un documentario, «Vittorio, Capitan Pistone... E tutti gli altri», in onda domenica, 16 Febbraio, a mezzanotte su Rai3. La storia di Vittorio è comune a quella di altri 20 milioni di persone. È la stessa che è toccata a Ronald Reagan, Rita Hayworth, Winston Churchill, Charles Bronson, Annie Girardot e tanti altri personaggi celebri e non che a un certo punto della vita si sono trovati di fronte al buio prima intermittente poi sempre più accecante dell’Alzheimer. Una vita che diventa piena di fantasmi, ossessioni e amici immaginari, come il Capitan Pistone del titolo: «Per mio padre era una figura rassicurante, era il capo della polizia e dei carabinieri». Per una figlia deve essere stato particolarmente doloroso girarlo, perché l’ha fatto? «Non certo per la gloria, ma per essere utile ai familiari di tanti malati che si sentono soli. Un Paese civile non può abbandonare chi ha bisogno». Selezionato da diverse rassegne, il documentario parteciperà alla prossima edizione. Chi volesse potrà scaricarlo dal link che sarà presente il lunedì 17, già in tarda mattinata, sempre su questo blog.

mercoledì 12 febbraio 2014

Effetto Vintage

Tutti sanno il perchè il mio blog si chiami così e di cosa si scriva "a bordo" dello stesso. Voglio divagare, un pò come fatto ieri per l'intramezzo musicale, per parlare di tecnologia e di come noi, in generale, diamo con difficoltà del "tu" alla tecnologia stessa. Oggi parleremo di un giochino veramente brutto, una volta disponibile su play store e apple store dal nome di "Flappy Bird". Che succede? Come mai non è più disponibile? Addolorato, sfinito da 50mila dollari di fatturato giornaliero, il vietnamita twittò: «Non ce la faccio più». Così, per sommo volere del suo creatore, si è estinta Flappy Bird, l’app dal successo più strabiliante e inatteso degli ultimi tempi. Lui, Dong Nguyen, 29enne sviluppatore di Hanoi, sabato ha annunciato il ritiro del giochino dagli store di Apple e Google con un cinguettio vagamente melodrammatico: «Ha rovinato la mia vita e ora lo odio». Mistero della Rete: piuttosto insolito sopprimere un’applicazione gratuita che, con la sola pubblicità, aveva prodotto una montagna di quattrini, 50 milioni di download e ticchettii infiniti su smartphone e tablet. Gli studiosi della materia si interrogano anche perché non si era mai vista una simile meteora: dietro al miracolo del mobile gaming c’è una strategia sottile o solo l’umana debolezza di un nerd triturato dalla ribalta? La mania Il successo logora chi ce l’ha (di Andreottiana memoria), a maggior ragione se il boom è strano di per sé: in tempi di tecnologia sopraffina, Flappy Bird è un inno al mininalismo partorito in tre giorni. Videogame basic con scorrimento in 2D che fa tanto Anni 80: c’è un uccello grassoccio che sbatte le ali e attraversa tubi in stile Super Mario.
Flappy Bird per Android
Banale, ma difficile e irritante al punto da creare una malsana dipendenza. E ieri Nguyen, acciuffato in esclusiva mondiale da Forbes, ha ammesso: «L’ho progettato perché facesse rilassare e invece induce assuefazione. Ero stressato e non riuscivo a dormire, ma ora la mia coscienza è sollevata. Flappy Bird è morto, per sempre».Durante l’intervista, il ragazzotto vietnamita ha vietato le foto e disegnato inquietanti teste di scimmia su un foglio: un tipo strano, incapace di reggere al soffocamento di media e utenti. Si è pure difeso dalle accuse di plagio, anche se Nintendo potrebbe preparare l’offensiva vista la sospetta somiglianza a Super Mario. C’è poi chi riconosce un sofisticato hacker, capace di manomettere le recensioni e di mostrare le falle degli app store. Del resto, il gioco scombussola il mercato perché, a differenza dei rivali, non ha bisogno di upgrade a pagamento. E mai sottovalutare la religione del marketing: sul web Nguyen ha tatticamente trovato l’uovo di Colombo e, avendo attirato enormi attenzioni, continuerà a lungo a programmare (i suoi Super Ball Juggling e Shirken Block galoppano già nella Top 20 su iTunes Usa). Intanto, su Ebay finiscono in vendita alcuni dispositivi privilegiati che hanno installato per tempo il mitico Flappy Bird: disponibile un bell’iPod Touch al comodo prezzo di un milione di euro. E chi non vuole spendere un milione di euro, può rivolgersi ad eBay Italia a prezzi davvero vantaggiosi!! Nessuno mai ha sentito parlare di jailbreak, chroot e installazione da .ipk/apk? Ve lo lascio come homework :-)

martedì 11 febbraio 2014

Intramezzo musicale

Il titolo rispecchia ciò che si faceva una volta col carosello; i più vecchi lo ricorderanno. :-)


Il protagonista di "Money for Nothing" è un ragazzo che lavora in un grande magazzino di televisori/cucine/frigoriferi/forni a microonde ed è lui che canta la canzone. "Ho scritto la canzone mentre ero in un negozio, ho comprato una risma di carta e ho cominciato a scriverla", questo è quanto dichiarato da Mark Knopfler, leader dei fu <<Dire Straits>>. "Ho voluto usare lo stesso linguaggio che usava il commesso del negozio quando l'ho sentito perchè è un linguaggio reale."

A suonare questa versione, 4 monumenti musicali: Knopfler chitarra/voce, Clapton chitarra per accompagnamenot, Sting voce e alla batteria Phil Collins

Inoltre volevo aggiungere :
I

Mark Knopfler & Emmylou Harris - I Dug up a Diamond


sempicemente eccezionale.Gli ultimi novanta secondi sono semplicemente nella bacheca planetaria dei trofei musicali.

Il re zoppicante, ma sempre badante

Soltanto chi si ostina, a dispetto dell’evidenza dei fatti, a ritenere Giorgio Napolitano un presidente super partes devoto alla Costituzione può meravigliarsi per le rivelazioni del nuovo libro di Alan Friedman "Ammazziamo il Gattopardo". E cioè del fatto, suffragato da numerose testimonianze, che Sua Maestà (Giorgietto) contattò Mario Monti per rimpiazzare Berlusconi a Palazzo Chigi fin dal giugno 2011, ben prima dell’impennata estiva dello spread e della conseguente fuga di parlamentari della maggioranza, che l’8 novembre 2011 si ritrovò minoranza alla Camera; l’indomani il Professore bocconiano fu nominato senatore a vita e il giorno 13, subito dopo le dimissioni del Cavaliere, fu incaricato di formare il nuovo governo. Si sa bene di che cosa sia stato capace Napolitano in questi quasi otto anni di presidenza; dunque siamo tutti immuni almeno allo stupore. Autoinvestitosi della missione di salvatore della Patria e autoassolvendosi di volta in volta in nome di “emergenze” reali o inventate(economiche,politiche o altro), il capo dello stato di necessità non ha mai esitato a travolgere le regole costituzionali per il nostro bene, o almeno per quello che lui pensava esserlo e invece non lo era. Convinto che l’elettorato sia un bambino immaturo e un po’ sciocco da rieducare e accompagnare per mano dove vuole lui, s’è autonominato Badante della Nazione e ha perseguito scientificamente il suo disegno politico a prescindere dal voto degli italiani, e sovente addirittura contro di esso. Ma gli alti lai, che ora levano i berluscones, suonano stonati e infondati: il bilancio delle interferenze e forzature presidenziali è largamente a loro vantaggio, non certo a loro discapito. Per diversi motivi; almeno tre. Analizziamoli, correndo il rischio di allungare la nostra disamina e distogliere l'attenzione dei pochi nostri affezionati lettori. :-)

  1. La prima vittima dei traffici di Napolitano è il secondo governo Prodi, nato nel 2006 con una maggioranza risicatissima al Senato dalle prime elezioni del Porcellum. Il 21/22 febbraio 2007, dopo meno di un anno di vita, l’Unione di centrosinistra è già in crisi: bocciata in Senato una risoluzione sulla politica estera con appena 158 Sì (su un quorum di 160), 136 No e 24 astenuti. Prodi sale al Colle per dimettersi. Napolitano – come annota il ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa nel suo diario, che Travaglio  ha potuto consultare per il libro "Viva il Re!" – chiede al premier "numeri certi" al Senato, lasciando intendere che non può far conto sui voti dei senatori a vita. Poi respinge le dimissioni di Prodi e lo rinvia alle Camere per la fiducia, non prima di avergli confidato che sta lavorando con "esplorazioni" sue personali – non si sa a che titolo – a una "maggioranza diversa" da quella uscita dalle urne. Una maggioranza di "larghe intese" con la destra sconfitta. Padoa Schioppa parla di manovre "inquietanti". Invece Berluconi – che non sopporta di restare fuori dalla stanza dei bottoni, continua a gridare ai brogli e tenta di comprare altri senatori (dopo il già acquistato Sergio De Gregorio) per dare la "spallata" al governo – è entusiasta. "Napolitano detesta il bipolarismo e persegue il suo disegno politico", annota il ministro dell’Economia(Padoa Schioppa appunto), descrivendo il Presidente come un sabotatore del governo Prodi, "pompiere incendiario" che "soffia sul fuoco anziché spegnerlo" e vorrebbe tornare a un sistema malato da Unione sovietica o da partitocrazia modello Prima Repubblica, dove "il governo lo sceglie il partito (o i partiti) e non il popolo". Un anno dopo, nel gennaio 2008, Prodi cade per l’uscita di Mastella/qualche leghista taglia un pò del salume più grasso e se lo mangia in Parlamento). Ma, anziché sciogliere le Camere, Napolitano tenta un governo Marini, ovviamente di larghe intese. E solo quando fallisce anche quello si rassegna a sciogliere le Camere.

  2. Dopo aver firmato tutte le leggi vergogna del terzo governo Berlusconi, dallo scudo fiscale al lodo Alfano al legittimo impedimento, nel novembre 2010 Napolitano salva il Cavaliere da sicura débâcle. I finiani di FeL(Futoro e Libertà) presentano una mozione di sfiducia in aggiunta a quelle delle altre opposizioni. La maggioranza non c’è più. Ma il capo dello Stato convince i presidenti delle Camere Fini e Schifani a rinviare il voto a dopo la Finanziaria: così regala al Caimano un mesetto di tempo per comprarsi una dozzina deputati: quanti bastano per strappare la fiducia il 15 dicembre.

  3. Nell’estate 2011, quando Napolitano inizia a sondare Monti, il governo Berlusconi  è già alla frutta ancor prima del boom dello spread, che ne è una delle conseguenze: Bresluconi e Brunetta vogliono tagliare le tasse, Tremonti – conti alla mano – si oppone, e fra Palazzo Chigi e l’Economia si scatena una guerra che prosegue per tutta l’estate, con gli appelli dell’Europa per una drastica manovra correttiva. Il 5 agosto Berlusca annuncia che gliel’ha imposta la Bce con una lettera firmata da Trichet e Draghi: in realtà – si scoprirà più avanti – la missiva l’ha sollecitata lui stesso per salvarsi  la sedia. Ma sia lui sia Bossi si oppongono al taglio delle pensioni chiesto dalla Bce e la manovra, riscritta quattro volte, è una burla. Il 23 ottobre Merkel e Sarkozy lo seppelliscono con la celebre risata di Bruxelles. Il 3-4 novembre, al G20 di Cannes, Bersluconi e Tremonti si presentano in ordine sparso, senza neppure parlarsi. Ma il Caimano suonato dice che va tutto bene, "siamo un Paese benestante, i ristoranti sono pieni e si fatica a prenotare un posto in aereo". Inizia il fuggifuggi dal Pdl e l’8 novembre, al voto alla Camera sul rendiconto dello Stato, la maggioranza si ferma a 308 voti su un quorum di 316. Dunque il governo cade e arriva il Prof, coronando il vecchio pallino di Napolitano: le larghe intese.


È vero che il Presidente tiene nella manica l’asso di Monti già da cinque mesi, ma Berlusconi fa tutto da solo: sarebbe caduto lo stesso, anche senza aiuti dall’alto. Il che non significa che Napolitano avesse il diritto di preparare un governo e una maggioranza alternativi 150 giorni prima (e chi ci dice che, nelle telefonate intercettate a novembre-dicembre con Mancino, non parlasse anche di quelle manovre e non le abbia fatte distruggere proprio per questo?). Però Berlusconi  dovrebbe ringraziarlo: il governo Monti al posto delle elezioni fu per lui manna dal cielo: se si fosse votato allora, visti i sondaggi che lo davano intorno al 10%, ne sarebbe uscito asfaltato per sempre. Invece la politica dei tecnici – tasse, lacrime e sangue per i soliti noti – gli consentirà di risorgere nel giro di un anno. E di risultare decisivo alle elezioni di un anno fa, quando gli italiani votano in massa contro le larghe intese e poi, con i soliti traffici di Napolitano (rielezione compresa), se le ritrovano tali e quali con Letta Nipote: lo schema fisso del Presidente. È semplicemente comico che ora, a lamentarsene, non siano Prodi, Rodotà, gli elettori affezionati al bipolarismo, ma proprio l’utilizzatore finale di tutti quei traffici. Ecco, a ben guardare il peccato più imperdonabile di Napolitano è proprio questo: essere riuscito – prima con i minuetti sulla grazia e ora con l’emergere delle manovre del 2011 – nell’ardua impresa di far passare dalla parte della ragione un figuro che, da quando è nato, è sempre stato da quella del torto.  Ps. Nella lettera di precisazioni al Corriere che nulla precisa, Napolitano si fa scudo della sentenza n. 1/2013 della Consulta per invocare "riservatezza assoluta" sulle sue "attività formali" e "informali". Ma non sa quel che dice: quella sentenza, incredibile e tragicomica, si riferisce alle sue telefonate con Mancino e proibisce di intercettare, anche indirettamente, The Voice. Non gli permette di fare quel che gli pare al riparo dalla libera stampa. Né vieta le inchieste e le domande giornalistiche sull’attività del Presidente nella formazione dei governi. Né lo esime dal risponderne all’opinione pubblica. A meno che, si capisce, non si creda un dittatore o un monarca assoluto. Nel qual caso l’impeachment sarebbe uno strumento persino un po’ riduttivo per mandarlo a casa in tempo utile.
Ma questo non accadrà, almeno in questi giorni, visto che lo stesso è già stato archiviato (
)