martedì 29 aprile 2014

Prezzemolino

Dunque sabato sera i telespettatori di Amici saranno privati dell’imprescindibile presenza di Matteo Renzi accanto a Maria, a causa di una legge odiosamente illiberale: la par condicio che proibisce le ospitate di politici nei programmi non giornalistici in campagna elettorale. Gli italiani dovranno dunque attendere fine maggio per sapere che faccia ha il presidente del Consiglio, ingiustamente oscurato da tutte le tv, eccezion fatta per i programmi del mattino, del pomeriggio, della sera e della notte. A meno che non accolga l’invito di Barbara D’Urso a Domenica Live che – lo si è scoperto dopo il monologo del Cainano di Arcore – è nientemeno che un “programma giornalistico”. Il capo del governo è così pieno di sé da voler occupare ogni teleinterstizio diurno e notturno: verrebbe da domandargli perché se ne infischi così ostentatamente di una legge nata per riportare un minimo di decenza nella patria del conflitto d’interessi, al punto di farsi dare una lezione di par condicio addirittura da Mediaset. La risposta, purtroppo, è nota: vent’anni di berlusconismo hanno coperto e giustificato i conflitti d’interessi del centrosinistra, trincerato dietro l’alibi del “lui ce l’ha più grosso di noi”. Chi parla più della mostruosità di un leader politico proprietario di tre reti televisive che da vent’anni si fa intervistare (si fa per dire) dai suoi impiegati? Anziché sciogliere quel nodo, il centrosinistra si è preso la rivincita controllando pezzi di Rai e di giornali, che usano i medesimi riguardi riservati a Berlusconi dai suoi impiegati, senza disdegnare qualche ospitata a Mediaset per dimostrarne lo squisito pluralismo. Quando Renzi dice che il patto con B. riguarda “solo” le riforme (hai detto niente), gli sfugge che la scelta di un simile partner costituente gl’impedisce di polemizzare con le mostruosità che escono dalla sua bocca (per dire qualcosa sulla dichiarazione di guerra alla Germania, ha dovuto equipararla alla “frase inaccettabile di Grillo sulla Shoah”, che però non esiste: Grillo non ha detto nulla sulla Shoah; ha parafrasato molto inopportunamente un brano di Primo Levi, con un assurdo fotomontaggio sulla P2 e Auschwitz). E di fare qualcosa contro il conflitto d’interessi, che infatti resta tabù. Più i giorni passano, più il leader “nuovo” somiglia a quelli che doveva rottamare: chiacchiere tante, fatti pochi e transumanze da una tv all’altra per “fare il simpatico”. La differenza è il giubbotto fico(che gli calza pure male IMHO) al posto della grisaglia. Appena entrato a Palazzo Chigi, oltre ai virus della chiacchierite e dell’annuncite, Renzi ha contratto pure la prezzemolite(è ovunque). Ieri è apparso in tv con un pallone e poi con una banana in mano. Intanto la Boschi, sua "portavoce", ci ragguagliava su Vanity Fair su altre questioni decisive: se vuole dei figli, e se sì quanti, se ha già trovato l’uomo giusto o se possiamo fare qualcosa per aiutarla nelle ricerche. Un giorno o l’altro magari verrà fuori un politico serio, che si fa eleggere e va al governo per governare e parla solo quando ha qualcosa da dire: non per promettere ciò che farà, ma per comunicare ciò che ha fatto. E non lo noterà nessuno. Siamo italiani, in fin dei conti.

martedì 8 aprile 2014

Renatone

Oggi parliamo del renatone nazionale(è in minuscolo per aiutare il lettore ad indovinare il personaggio).
Renato Zero ? No no... 
Renato Carosone ed il suo "Tu Vuò Fa' L'Americano" sarà l'articolo del giorno ? Io direi di no, siamo lontani.
Renato Pozzetto ? Gran comico, ma vi ho detto che ci stiamo allontanando dalla trebisonda, anche se in quanto a comicità, del nostro Signore X se ne potrebbe discutere.
Vabbè dai, iniziamo l'articolo. 

È un gioco delle parti ormai collaudato nel tempo, dove i ruoli sono codificati così come il peso specifico interno a un partito complesso come Forza Italia. E dove, se si guardano le cose dall’esterno, uno come Renato Brunetta (eccolo qua in nostro eroe, 143cm di aggressività ahimè veneziana) dovrebbe pesare tanto agli occhi dell’ex Cavaliere e, invece, non è nelle sue grazie. Eppure, per suo conto s'impegna quotidianamente a cannoneggiare la Rai, a scrivere il Mattinale che raccoglie il verbo e detta la linea alle truppe e, in ultimo, guida saldamente il gruppo alla Camera da dove lancia ultimatum laceranti su cui, poi, i “colonnelli” costruiscono un asse di trattativa. Un po’ come è successo ieri: parte Brunetta, sfodera la spada contro l’incantevole ministra delle Riforme, Maria Elena Boschi, sull’approvazione dell'Italicum al Senato, quindi passa la palla all’interno, dove c’è un Verdini già pronto a raccogliere la telefonata della medesima Boschi per capire fino a che punto si può alzare il tiro per non far dimenticare agli elettori che senza Berlusconi non ci saranno mai le “grandi riforme”.
Giornata Nazionale dell’Innovazione 2011
Poi, però, Renzi smonta tutto, lo stropiccia pubblicamente (“non accettiamo ultimatum, men che meno da Brunetta”) e lui, come da tradizione, s’adonta e strepita: “Finirai come le bolle di sapone!!!”. Il copione è sempre questo, la solita storia di ordinaria stizzosità brunettiana, si direbbe, che però tanta parte ha nella strategia mediatica berlusconiana. Per dire: secondo Alessandra Ghisleri, sondaggista della real casa di Arcore, nell’ultimo periodo, uno dei più duri per Forza Italia, in picchiata continua, la cattiveria e l’invettiva brunettiana sono stati fondamentali, salvando il Cavaliere dall’oblio. Brunetta serve perché imperversa. Per ordine diretto di Silvio. La sua determinazione a non lasciare terreno all’avversario lo ha reso un soldato indispensabile della truppa di Silvio. Un episodio che la dice lunga sull’uomo: in aula alla Camera, la presidente Laura Boldrini, annunciandone l’intervento, disse: “Ha la parola il deputato Brunetta”. “Grazie deputata Boldrini – replicò lui, piccato perché non aveva ricordato che era capogruppo –. Lei non mi chiama presidente e io non la chiamo presidente”. È fatto così. E per questo piace ma non al punto da poter essere paragonato a uno Scajola o a un Dell’Utri. E neppure a Verdini. Pesa, insomma, ma non troppo. Conta, certo, ma la rissosità del carattere non lo aiuta. “Renato è Renato”, sostengono con disincanto a San Lorenzo in Lucina, per dire che non sempre la infila giusta, vuoi per eccesso di zelo, vuoi per quella vanità. Per dire: cosa abbia spinto il Cav, a inizio legislatura, a sceglierlo come capogruppo è mistero gaudioso. Dopo la rottura con Giulio Tremonti, Brunetta, approfittando di un momento di grazia del Capo, si sistemò in una suite di Palazzo Grazioli, praticamente all’uscio dell’ex premier. E pare che da quel momento in poi gli abbia rotto le scatole in modo tanto assillante da costringere Berlusconi a concedergli la poltrona. Subito dopo, però, il Cav. si ritrovò sul medesimo uscio mezzo partito che dei modi spicci di Brunetta non ne voleva sentir parlare. Quando nel 2008 era ministro della P.A., trattò i suoi sottoposti come fossero una manica di fannulloni e apostrofò i precari come “l’Italia peggiore”. Una scivolata, quest’ultima, che gli costò cara anche alla corte di Berlusconi. Ma Brunetta è uno che incassa. E striscia. Ad majora.