mercoledì 28 maggio 2014

Sposa l’uomo che ama, lapidata dai parenti

Incollo qui un articolo di Alix Van Buren, di oggi.

«È un delitto d’onore», s’impettisce davanti ai poliziotti di Lahore il padre di Farzana, se “padre” si può dire di un maschio-padrone che ha appena spronato una torma di venti famigliari — fratelli, zii, cugini — a massacrare la figlia incinta a colpi di mattoni e bastone, le mani e la tunica ancora bagnati del sangue zampillato dalla testa di Farzana. Lei, 25 anni, è ormai un fagotto adagiato per terra, coperto da un telo infiorato di fronte al tribunale della capitale del Punjab, in Pakistan. Accanto al braccio, resta il sandaletto rosa, lindo e lezioso, scalzato nella fuga dagli aguzzini. Col suo viso, ancora sorprendentemente bello — reso statuario dalla morte — aveva sfidato il patriarca: per amore. Farzana Parveen era arrivata lì, a Lahore, ieri mattina, per testimoniare davanti ai giudici che «sì, era vero»: lei aveva sposato Iqbal, vent’anni più di lei, proprio per amore.
 
E «no», s’era intestardita, «non era vero» che Iqbal l’avesse rapita e costretta alle nozze, come invece calunniava il genitore, Mohammad Azeem, rivoltosi alla giustizia. In più, lei sapeva d’essere incinta: era il primo figlio a tre mesi di gravidanza, dopo anni di fidanzamento. Lui vedovo, lei si prendeva cura anche dei cinque figli di Iqbal. Nello spiazzo davanti alla Corte, i due non hanno avuto il tempo di salire i primi gradini. È piombato il branco: il fratello l’ha strattonata, per portarla via. Lei, sulle prime, è sgattaiolata. Lui le ha sparato un colpo di fucile, mancandola. Finché lei nella corsa è inciampata. Ha perso il sandaletto rosa. I testimoni raccontano che su di lei è caduto un diluvio di mattoni recuperati da un cantiere lì di fianco. Raggiunta, i suoi l’hanno finita a bastonate. Fuggiti, sono ricercati dalla polizia. Soltanto il padre, Azeem, s’è consegnato, tronfio: «Aveva insultato la famiglia, s’era sposata senza il nostro consenso, non ho rammarico», l’investigatore Mujahid ripete le parole di Azeem. È il refrain di una trama classica, tanto sanguinaria quanto ripetitiva, in un Paese come il Pakistan (e non è l’unico) dove 869 donne sono state assassinate lo scorso anno per lo stesso motivo: delitto d’onore. Eppure l’orrore di una lapidazione in una piazza centrale sciocca persino i più accostumati allo studio della violenza. «Non s’era mai visto il caso di una donna lapidata, per di più di fronte a un tribunale», dice Zia Awan, rispettato avvocato e militante dei diritti umani. La polizia promette di arrestare i responsabili. Ma Zia, come le donne della famiglia di Farzana, non s’illudono: sanno che le sentenze sono miti; a volte, si risolvono in assoluzioni. L’ultima immagine di Farzan è quel fagotto infiorato, caricato su un’ambulanza, e di Iqbal, la testa stretta fra le mani. L’ultimo affronto: un’autopsia, per sapere quel che tutti hanno visto. E che nessuno ha fermato.

I commenti,silenti  o no, al solito, li lascio ai lettori.

Nessun commento:

Posta un commento