sabato 22 febbraio 2014

che dire

Una scena mai vista: il premier uscente al momento del passaggio di consegne a Palazzo Chigi non degna di uno sguardo il successore. E già si parla di una clamorosa uscita dal partito. La “staffetta” avvelena l’inizio del nuovo esecutivo che ha già le sue gatte dal pelare: dal ministro dello Sviluppo Guidi beccata lunedì a cena ad Arcore, ai possibili conflitti di interesse del collega del Lavoro Poletti. E non ultima la cacciata della Bonino. E domani la fiducia al Senato. Tanta carne al fuoco. Troppa.  La sincerità non ha casa in politica, lo si sa, come anche la lealtà. Eppure il gesto che ieri ha compiuto Enrico Letta, il ripudio di qualunque segno di affetto verso il presidente del Consiglio, nel brevissimo rito della consegna della campanella a palazzo Chigi, toglie opacità, retropensiero e ipocrisia alle gesta del protagonista. Ritraendo istantaneamente la mano sua da quella di Renzi, che lo guarda per la prima volta con occhi bassi e imbarazzati, e correndo via da una cerimonia che sembra offenderlo, Letta non perde il senso dello Stato (è lì infatti ad adempiere ai suoi doveri) ma non rinuncia a manifestare in pubblico il proprio dolore, la disapprovazione per come gli è stata sottratta la poltrona. Ma la mano che lo sconfitto quasi rifiuta di porgere al vincente è anche un manifesto di cattive intenzioni, annuncia che nulla al giovane, magari talentuoso ma inesperto premier sarà risparmiato, che la vita del suo governo, specialmente nelle aule parlamentari, dovrà superare ostruzioni impreviste, antipatie inattese. Letta se ne va da palazzo Chigi, non dalla vita politica. Le sue relazioni nel mondo che conta sono ampie e resistenti al tempo e alle mode, e la voglia di una rivincita è più che plausibile. E infatti sempre ieri, sul suo profilo twitter, ha cancellato l’incarico di premier riprendendo quello di deputato. “Deputato della Repubblica”, ha scritto. Non più del Pd. Acque agitate proprio nel Pd. Parliamo appunto della prima ondata polemica che coinvolge il partito. Appunto, del Ministro Gudi, e del suo ministero: Lo Sviluppo economico.
Federica Guidi, Ministro dello  Sviluppo
Federica Guidi non è una quota rosa, è una quota azzurra. È l’unico ministro del governo Renzi che anche Silvio Berlusconi avrebbe voluto se a Palazzo Chigi ci fosse stato lui con Forza Italia. A chiarire le simpatie della signora modenese sarebbero bastate le dichiarazioni della titolare dello Sviluppo economico quando era a capo dei giovani di Confindustria, il sorriso mentre Berlusconi umiliava lei e Emma Marcegaglia da un palco: “Prendete atto che sono l’unico uomo e che queste due donne non sono minorenni” (era il 2009). Sull’HuffingtonPost. it Alessandro De Angelis rivela che ancora lunedì sera Federica Guidi era ad Arcore, assieme al padre Guidalberto da cui ha ricevuto un’azienda (la Ducati Energia, dalla cui vicepresidenza il ministro ora si dimette) e le sue entrature confindustriali e politiche. A cena il Cavaliere, scrive De Angelis, non nasconde la sintonia: “Federica, prima o poi questa tessera di Forza Italia dovrai fartela...”. La Guidi è una delle scelte più misteriose di Renzi: non ha esperienza ministeriale, guidare la Confindustria giovani non è un vero lavoro, non richiede particolari competenze, a parte lamentarsi un paio di volte all’anno da Santa Margherita Ligure e da Capri per il fisco e la burocrazia che opprimono le imprese. Quindi perche' dare alla Guidi un ministero come lo Sviluppo, dove ha faticato un supermanager come Corrado Passera e un sindaco esperto come Flavio Zanonato è stato travolto dalla complessità della struttura? Per rassicurare Confindustria, certo, ed evitare che faccia opposizione a Renzi(ma e' solo una mia supposizione) come durante la fase finale dell’esecutivo Letta. Ma anche per rassicurare Silvio Berlusconi su una delle sue due preoccupazioni (una è l’arresto, l’altra le comunicazioni, che dipendono dallo Sviluppo). Non sono più i momenti cruciali del beauty contest che doveva regalare a Rai e Mediaset le frequenze liberate dal passaggio della tv dall’analogico al digitale: tra lungaggini burocratiche e vincoli europei, le frequenze si sono svalutate e sono meno strategiche (ma Mediaset almeno ha evitato l’ingresso di pericolosi concorrenti). Nel dubbio meglio prevenire: ora che Google, per esempio, ha un potere di lobby tale da spingere Renzi a bloccare la apposita tassa voluta da Letta, per Mediaset si annunciano anni complicati. Sta arrivando Netflix, a sconvolgere il mercato della tv a pagamento, Mediaset Premium non ha mai funzionato e ora, dopo aver acquistato l’esclusiva della Champions League, cerca nuovi assetti, magari fusioni. Il ministro sbagliato potrebbe favorire il web a scapito della vecchia tv generalista. Ma Berlusconi non pare doversi preoccupare. Vedremo se come vice alle Comunicazioni la Guidi confermerà Antonio Catricalà, da sempre amico di Gianni Letta, ombra del Cavaliere.
Il clientelismo ha ridotto il BelPaese a cio' che abbiamo sotto gli occhi ogni giorno.

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