giovedì 27 febbraio 2014

Feltri

A Roma si direbbe: “J'è partito 'n'embolo”. Per sdrammatizzare, si potrebbe anche metterla così, commentando ciò che ha detto Vittorio Feltri a Linea Gialla (La7, mercoledì, 21.15), dove Salvo Sottile si impegna molto per risalire sul pendio declinante degli ascolti, e ora sembra che guadagni, ora nuovamente perde e si ritrova “là dove il sol tace”, da cui era partito: (2.30%, lo share per 487.000 spettatori, fonte "ufficio stampa di La7"). Le ha sparate grosse, l’ex direttore de "Il Giornale", perché quando si è in tv bisogna pur dire ciò che si pensa, e se tu sei stato chiamato per recitare il ruolo del giornalista brillante, un po’ sboccato magari – oggi va così – non puoi sottrarti. Per trovare argomenti innocentisti a favore di Raffaele Sollecito, e smascherare l’impianto accusatorio, che a suo dire non tiene, perché non c’è né uno straccio di una prova né un plausibile movente, è arrivato a chiedere a Sollecito se lui, Meredith Kercher, la ragazza assassinata, se la voleva “scopare”. Così, brutalmente. Una domanda retorica, dal suo punto di vista, che già conteneva un’implicita risposta. Perché lui, Raffaele, che aveva un rapporto con una bellissima – Amanda Knox – non avrebbe avuto alcun motivo per corteggiare l’altra, quella uccisa, che peraltro non era nemmeno “eccezionale”. Se non voleva “scoparsela”, quindi, perché mai avrebbe dovuto ucciderla? Questi gli argomenti, e questi i nessi logici che li tengono insieme. Si vedeva, del resto, fin dall’esordio del dibattito, quale sarebbe stata l’aria della serata: Feltri, che era stato presentato da Sottile come l’interprete della linea innocentista, contrapposto a Roberta Bruzzone, criminologa, fautrice della tesi colpevolista, aveva dichiarato, sorridendo, sincera ammirazione per la sua interlocutrice, per la quale nutriva un “debole”. Ma poi da subito si era acceso in improvvisi scoppi d’ira, per denunciare l’insufficienza un po’ di tutto: delle “tute bianche” – i “chimici” della scientifica, che analizzano i reperti –; delle prime indagini sulla scena del delitto, ridicole e incomplete, e ovviamente della magistratura, che lui “adora”, ma solo perché ne ha “terrore”. Pur di dimostrarne l’inaffidabilità, ha avuto l’improntitudine di confessare – con la Bruzzone che gli suggeriva prudenza, per via della prescrizione – che fra i tanti processi subiti, è stato condannato per quelli in cui era innocente, e assolto per gli altri, nei quali era colpevole. Un Vittorio Feltri Show, non gratificato da alti indici di ascolto, che almeno avrebbero regalato alla sua presenza e ai veementi sforzi argomentativi una degna cornice popolare. Tanta foga per nulla. Il fatto è che anche l’anti-processo è un format logorato. Come logorato è l’urlo, che talvolta sembra svolto a comando. E Feltri, se proprio ha piacere di andare in tv e sorridere con galanteria alle sue interlocutrici, deve comprendere che pur non chiedendogli la postura affettata del bon ton o del politically correct, esistono regole nella comunità umana, se non di buona educazione nei confronti dei vivi, di rispetto almeno verso i morti. Anche perché, da morti, non hanno più la possibilità di difendersi, controbattere, urlare. E forse, in certi casi, gli piacerebbe molto lanciarlo, un urlo. Di quelli molto, molto sboccati. Per chi volesse, la puntata è sul tubo, qui.

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